Pensatore di rilievo internazionale, studioso di psicoanalisi, filosofo: realizzare una presentazione curata ed esaustiva di Slavoj Zizek si dimostrerebbe una operazione ridondante e scarsamente utile. Star incontrastata del mondo accademico occidentale, celebre (e infinitamente celebrato) per aver saputo legare la tradizione filosofica alla cultura popolare, ma ben conosciuto anche per le amicizie illustri (più o meno esibite) e per le sue relazioni sentimentali, in venticinque anni di carriera il filosofo sloveno si è fatto conoscere dal grande pubblico, grazie alla vastità della propria produzione letteraria. Filosofia, politica, storia, psicoanalisi, cinema e musica: non esiste àmbito culturale che non abbia destato l’interesse di Zizek e che non sia diventato suo oggetto di studio. Così, in attesa dell’imminente pubblicazione italiana del secondo volume di Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico (prevista per il prossimo autunno) lo studioso sloveno decide di espandere ulteriormente i propri confini, con una breve incursione nel mondo dei motti di spirito.
D’altro canto, umorismo e barzellette sono tutt’altro che nuovi all’analisi intellettuale. Se già nel 1900 Henri Bergson – con il celeberrimo Le rire. Essai sur la signification du comique – prende in considerazione i meccanismi di funzionamento del comico, per portare alla luce il ruolo assunto dal ridicolo all’interno delle collettività umane, più recentemente, Umberto Eco ha dedicata la propria attenzione alla immortalità delle barzellette oscene in quanto genere narrativo. Riconducibili, nella loro struttura, all’epigramma e alla satira antica o – come sostiene, invece, Maurizio Ferraris – del tutto simili, nei loro tratti essenziali, alla forma mito, esse sono incontestabilmente caratterizzate dall’assenza di un autore riconoscibile, come di un qualsivoglia referente, così da poter assumere una validità il più diffusamente collettiva. Come spiega Zizek esse «sono in origine già “raccontate”, sono già sempre “sentite” (si pensi al proverbiale “La sai quella su…?”). Qui sta il loro mistero: sono idiosincratiche, rappresentano la creatività unica del linguaggio, e tuttavia sono “collettive”, anonime, prive d’autore, sorgono all’improvviso dal nulla. L’idea che una barzelletta debba avere un autore è paranoica nel vero senso del termine: significa che ci deve essere un “Altro dell’Altro”, dell’anonimo ordine simbolico, come se l’imperscrutabile potere generativo del linguaggio potesse essere personalizzato, riposare in un agente che lo controlla e segretamente ne tira le fila. È per questo che, da una prospettiva teologica, Dio è il sommo burlone».
107 storielle di Zizek. (La sai quella su Hegel e la negazione?), edito ancora una volta da Ponte alle Grazie (pp. 166, euro 13) si presenta come un trattato filosofico dalla forma alternativa, una raccolta di storielle spassose (o tali almeno nelle intenzioni) atte tanto a spiegare, in maniera diretta, alcuni tra i principali nodi della filosofia occidentale, quanto a dimostrare il grado di incontestabile diffusione della ideologia all’interno del nostro sistema culturale.
Sebbene il progetto possa apparire decisamente stuzzicante, sfortunatamente questo testo fallisce in maniera evidente gli obiettivi che si era preposti. Il limite più grande di tale operazione risiede nell’impoverimento di elaborazioni filosofiche, psicoanalitiche e culturali, inevitabile conseguenza della loro riduzione a una serie di brevi formule facilmente digeribili. Così, privata della sua complessità linguistica o di una qualsiasi stratificazione semantica, la filosofia viene qui negata, nell’individuazione di un punto di arrivo che abortisce per intero lo sviluppo di quel lungo percorso riflessivo e cognitivo, che rappresenta – in fin dei conti – la vera essenza del pensiero.