Un’Assemblea degli industriali in tono molto minore, quest’anno, soprattutto a causa dello “schiaffone” ricevuto da parte di un ex associato, la Fca degli Elkann. Sergio Marchionne non deve aver scelto una giornata a caso per offrire la Fiat di Melfi come palco elettorale al premier Matteo Renzi, che non ci ha pensato due volte e ha preferito le linee di montaggio immerse nelle pianure potentine al patinato Auditorium di Roma, consueto punto di raccolta per vip del business, gessati e collane di perle. D’altronde, con la campagna elettorale che vira sempre più su temi vicini alla “pancia” della gente, è meglio farsi vedere tra gli operai che tra i ricconi.

E così l’assise confindustriale è stata molto sotto tono, e non solo per le assenze di spicco. La Confindustria è apparsa appiattita sul governo, forse anche comprensibilmente, viste le tante leggi a favore ricevute da Renzi, e così il presidente Giorgio Squinzi (alla sua ultima Assemblea da leader) ha dovuto ammettere che quest’anno «Non ho richieste per il governo e non ho intenzione di lamentarmi». «Chiedo semplicemente – ha aggiunto – di non smarrire la determinazione perché questa è la condizione necessaria, indispensabile, per cambiare il Paese. I compiti sono impegnativi».

Un piccolo segnale, comunque, Renzi lo lancia, inviando una lettera: l’appoggio del governo non manca, spiega il premier, e l’invito è quello di continuare a lavorare insieme, «uniti per il bene del Paese» con obiettivo il rilancio «dello sviluppo della manifattura e dell’economia reale». Comunque, non è mancata una ex confindustriale, la ministra dello Sviluppo Federica Guidi, che anzi ha replicato in modo molto deciso a Squinzi: «Il governo vi ha dato tutte le risposte, adesso avete il compito – direi l’obbligo – di seminare». Frase che ricorda molto da vicino quella accoppiata di solito al Jobs Act e all’abolizione dell’articolo 18: «Ora non avete più scusanti». Se lo dicono loro.

Comunque, nonostante l’assenza di lamentele, piccole frecciatine Squinzi non rinuncia a mandarle: «Anche con questo governo che pure pare più attento, la manina anti-impresa ogni tanto si esercita nelle pieghe dei provvedimenti assunti nei diversi livelli istituzionali». Nel mirino l’aumento delle tasse immobiliari per i macchinari industriali che non possono essere spostati, gli «imbullonati».

Ma non solo: per Squinzi «c’è una giurisprudenza studiata e realizzata contro l’impresa» che passa attraverso «i reati ambientali e il nuovo falso in bilancio, richiede nuove autorizzazioni di varia natura», fissa il «canone sugli imbullonati e la Tasi sull’invenduto».

Al capitolo sindacati, l’appello a rafforzare la contrattazione aziendale e di produttività: senza nominarle, Squinzi evoca le deroghe. Piuttosto contraddittorio, va detto, con l’autonomia che si era voluta ritagliare solo qualche giorno fa la Trelleborg di Tivoli scegliendo liberamente, e tramite accordo con tutti i sindacati, di assumere con l’articolo 18. Squinzi sottolinea che «la funzione del contratto collettivo nazionale è, tra le altre, accompagnare con intelligenza questo processo, evitando che le imprese siano costrette a sommare i costi a livello di contrattazione». Poi rivendica «il diritto di essere noi stessi a regolare i nostri rapporti piuttosto che qualcuno proceda per legge».

Se i due leader di Cisl e Uil, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo sottolineano l’importanza di rafforzare il secondo livello, dal canto suo la segretaria Cgil Susanna Camusso mette in evidenza le “ombre”: «La cosa che preoccupa – dice – è che in una relazione fondata sull’innovazione si proponga la ricetta più antica del mondo: la riduzione dei salari. È l’opposto di quello di cui ha bisogno questo paese per crescere». Secondo Camusso, «si deve sbloccare la questione dell’erga omnes dei contratti nazionali», mentre al governo la leader Cgil dice che «è sbagliato delegare la politica di sviluppo economico agli imprenditori».