A poco più di 100 giorni dalla fine della presidenza Obama, Human Rights Watch, l’American Civil Liberties Union e Amnesty, le tre maggiori organizzazioni per i diritti civili in Usa, hanno iniziato una campagna congiunta per il perdono di Edward Snowden. Con 168 mila firme (l’obiettivo iniziale era di 100 mila) la petizione online che chiede la stessa cosa include oggi i nomi George Soros, Steve Wozniak, del fondatore di Twitter Jack Dorsey, di quelli di ex agenti Cia (come Valerie Plame) e FBI, e di esponenti della cultura e dello spettacolo come Francine Prose, Laurie Anderson, Michael Stipe, Jean Michel Jarre, Danny Glover, Joyce Carol Oates e Daniel Radcliffe/Harry Potter. Dopo Citizenfour, il documentario di Laura Poitras, non solo bellissimo ma «validato» agli occhi del grande pubblico dal riconoscimento di un Oscar, anche Oliver Stone porta sui grandi schermi un ottimo caso a favore dell’ex analista della Nsa.

La parabola di giovani americani, patriottici e idealisti, che si trovano progressivamente disillusi dal loro governo o da figure paterne che, ai loro occhi, incarnavano l’American Dream è un leitmotiv che attraversa tutta la filmografia di Stone, che ha spesso ammesso di identificarsi con questi personaggi. E Snowden non è solo tematicamente vicino ad alcuni dei suoi film più famosi, come Platoon, Nato il 4 luglio e Wall Street ma ne ritrova l’energia diretta, e l’efficacia.

Adattato dal romanzo Time of the Octopus, di Anatoly Kucherena, l’avvocato moscovita di Edward Snowden, dal libro di Luke Hardin The Snowden Files: The Inside Story of the World’s Most Wanted Man, e scritto con la collaborazione dello stesso Snowden, che appare brevemente alla fine del film, questo ultimo lavoro di Stone non ha la complessità estetica, politica e narrativa di JFK o la darkness esistenziale di Nixon, è un film più «piano», lineare, nonostante la struttura a flashback. Il suo mood meno complottista e la sua visione di un mondo ormai ostaggio di cyberwars politico/finanziarie meno grandiosamente filosofica e astratta di quella di Blackhat di Michael Mann. Più «a misura d’uomo» – e in questo Stone, non Mann, si conferma il vero prodotto dell’utopia dei Sixties.

Incontriamo il suo Edward Snowden (Joseph Gordon-Levitt, nell’interpretazione migliore della sua carriera) in divisa, in un campo d’addestramento militare per le Forze speciali, in cui spera disperatamente di entrare, nonostante le prove più strenue lo vedano in difficoltà, gli occhiali che scivolano sul naso, il sergente che lo cazzia. A esonerarlo per forza ci pensa una frattura alla tibia, procuratasi cadendo dalla branda. Ma il suo patriottismo è intatto: decide quindi di provare con la Cia, dove il suo genio per l’informatica, viene immediatamente riconosciuto dal capo settore Corbin O’Brian (Rhys Ifans) – un personaggio, ha detto Stone, ispirato al Winston Smith dell’orwelliano 1984 – che lo prende sotto la sua protezione.                    

23vissxoliverstone7f455963a0ed2e2dbe41cf7d9d586597

Joseph Campbell, Henry Thoreau, Guerre Stellari e Ayn Rand («un uomo può da solo fermare il motore del mondo») sono le ispirazioni di questo Snowden, nelle parole del regista (in un’intervista a Wired, in cui descrive anche il suo soggetto come un libertario, inizialmente affascinato dal Tea Party): «un bravo ragazzo, conservatore di natura, motivato dall’11 settembre ad arruolarsi nell’esercito e, più avanti, nella Nsa. E che è cambiato nel corso del tempo. Siamo rimasti vicini, nello spirito, alla verità dei fatti. Ma abbiamo anche dovuto proteggere lui, e le persone con cui ha interagito».

In Snowden («una ricostruzione drammatica di fatti realmente accaduti», dice un cartello all’inizio del film), prima ancora del sospetto che i programmi a cui sta fervidamente lavorando verranno usati per violare la privacy di milioni di americani, a far suonare un campanello d’allarme nella mente di Ed, è l’incontro con una ragazza, Lindsay Mills (Shailene Woodley, l’eroina dei Divergent e del melo teen ager Colpa delle stelle). Con una scelta curiosa e un po’ romantica, Stone ancora la storia al loro rapporto (Mills -che viveva con Snowden alle Hawai- oggi è con lui a Mosca). Lei lo segue in Svizzera, Giappone e poi a Oahu – di promozione in promozione (lo Snowden del film non è un semplice analista ma una star, prima alla Cia e poi alla Nsa) e di disillusione in disillusione.

L’altro cardine della narrazione è l’incontro, a Hong Kong, con Laura Poitras (interpretata da Melissa Leo) e Glenn Greenwald (Zachary Quinto) che Stone gira quasi in omaggio a Citizenfour, riprendendone persino alcune delle inquadrature. Tra i due, il film tesse la storia una crisi di coscienza che sbocca in una decisione personale difficilissima ma, nell’arco del personaggio, inevitabile. Il tono è quello di un eroismo sommesso. Non militante. Questo è un film che può piacere anche ai detrattori della fede politica di Stone, al punto che alcuni critici lo hanno trovato molle. Ciononostante, nessuna Major ha voluto produrlo o distribuirlo in Usa. Ci sono voluti un distributore indipendente (Open Roads) e grosse iniezioni di capitali tedeschi e francesi.
Le chance che Obama, prima di andarsene perdoni Edward Snowden? Secondo chi raccoglie scommesse pochissime.