Uno dei motivi che rende Snowden popolare, oltre alla sovraesposizione mediatica ovvia, dopo quanto ha rivelato a proposito delle attività di controllo da parte della Nsa, è la sua capacità di non essere mai banale.
O, per meglio dire, di non essere mai «leggero» nelle sue esternazioni. Anche per questo motivo, venerdì c’è stata grande emozione a Perugia, quando il suo volto è comparso in collegamento via Skype dalla Russia. È stato lui quest’anno l’ospite più importante – e più applaudito – di un festival giunto alla sua nona edizione (e come ogni anno frequentato soprattutto da giovani) e focalizzato in molti dei suoi panel, proprio sui temi «tirati fuori» dalle rivelazioni di Snowden.

Nell’incontro, moderato dal giornalista Fabio Chiusi, Snowden ha affrontato molti degli aspetti relativi al giornalismo, alla sicurezza, alla libertà e ai rapporti tra Italia e Usa. Secondo quanto specificato a Perugia dall’ex agente dell’intelligence americana, «i politici credono che tutto possa essere considerato lecito per garantire la sicurezza, ma la sorveglianza di massa è inefficace contro il terrorismo», negando dunque l’assoluta certezza dei governi che spingono per un maggior controllo con la scusa della sicurezza. E questo «collegamento» dei governanti è stato ulteriormente esemplificato dopo il caso Charlie Hebdo: sia la Francia, sia l’italia, in successiva battuta, si sono prodigati in nuovi provvedimenti proprio per garantire quella «sicurezza», dimostrata fallace dagli attentati.

«In Francia – ha aggiunto Snowden – questi sistemi sono stati legalizzati prima che avvenisse l’attacco a Charlie Hebdo, ma questo non ha impedito la strage. Lo stesso è avvenuto in Canada e Usa». Snowden dunque, in questo frangente utilizza un’espressione che non suonerà certo nuova a chi sui temi della sicurezza e della libertà – ovvero tutti gli hacklab europei, ad esempio – ha fatto da tempo campagne internazionali. Essere al sicuro, senza essere liberi, spiega Snowden, non ha alcun valore.

In queste sue frasi emerge tutta quell’«etica hacker» che Snowden sicuramente ha. La «fissazione» con la sicurezza, a livello di codice e protezione della propria privacy, non significa nulla se non aiuta a raggiungere una maggiore libertà. Anzi, se lo scopo non è quello, la sicurezza può diventare un’arma propagandistica nelle mani dei governi, proprio per limitare le libertà. Si tratta di un discorso straordinariamente attuale, ma spesso considerato secondario, come se la sicurezza dovesse per forza significare «repressione».

Come ha specificato l’ex analista, «i tentativi dei governi di obbligare le aziende a fornire le chiavi per decriptare i linguaggi utilizzati per le comunicazioni via Internet, rischiano di divenire il più grande sistema di oppressione dell’umanità. Sarà sufficiente un capo di governo mal intenzionato e noi accenderemo questo sistema e non si potrà più tornare indietro. Dobbiamo agire subito, altrimenti potrebbe diventare sempre più difficile».

Al panel con Snowden hanno partecipato anche il suo avvocato, Ben Wizner e – come Snowden in collegamento via Skype, Laura Poitras, regista di Citizenfour, il documentario che ha raccontato il passaggio delle informazioni in possesso di Snowden alla stampa, vincitore dell’Oscar 2015, e uscito proprio questa settimana in Italia. «Dall’uscita del documentario la mia vita è cambiata – ha raccontato Laura Poitras – ci è stato consigliato di evitare di viaggiare in Usa, ho dovuto vivere a Berlino e sono stata fermata più volte alla frontiera americana. Però quello che abbiamo pubblicato ci ha dato in qualche modo protezione».

«Spero con il mio lavoro – ha aggiunto – di diffondere la consapevolezza della minaccia nei confronti della democrazia rappresentata dai sistemi di sorveglianza. Presto pubblicheremo altro materiale di Hong Kong. Noi registi dobbiamo saper concentrare tutto in pochi minuti, ma c’è ancora tanto materiale che merita di essere pubblicato».