«Il No era nell’aria, bastava parlare con la gente». A dirlo poco dopo le 23 è il capogruppo del Pd nel Comune di Bologna, Claudio Mazzanti. Mazzanti è uno dei pochi dirigenti Pd che a livello locale ha deciso di sfidare Renzi e dire No al suo referendum costituzionale. Tutti gli altri, o almeno la stragrande maggioranza, si sono allineati, vuoi per convinzione vuoi per disciplina di partito.

Il risultato è che in Emilia-Romagna il partito si trova ad aver appoggiato una riforma che ha spaccato in due il corpo elettorale. E che anche i militanti e i simpatizzanti del Pd hanno digerito malissimo. All’una di notte i dati dicono che la regione non salva Renzi, con una leggera prevalenza del No. Bologna «la rossa» fa il suo dovere e segue le indicazioni di partito: sotto le Due Torri il Sì viaggia attorno al 52%. La seguono anche Reggio Emilia, Modena e Cesena. Ferrara, Rimini, Parma e Piacenza scelgono invece il No.
Altissima la partecipazione popolare.

A votare in regione il 76% degli aventi diritto, solo il Veneto ha fatto meglio. Una partecipazione che nell’Emilia «rossa» non si vedeva da tempo, e che scaccia il fantasma dell’astensionismo «monstre» delle elezioni regionali di due anni fa. Il flusso ai seggi è stato così alto che il confronto si può fare solo con le elezioni europee del maggio 2014 col loro 65% bolognese. Anche perché sei mesi dopo alle regionali votò meno del 40%, un pesante flop.

Una scelta, quella degli elettori per il No a livello regionale, che fino all’ultimo nessuno dava per scontata. Proprio in Emilia aveva scelto di passare Renzi negli ultimi giorni della campagna elettorale, radunando a Bologna 1.200 persone. Per il No invece erano passati sotto le Due Torri prima Civati, che aveva messo assieme centinaia di militanti di «Possibile», e poi Bersani, punta di lancia del No in casa democratica.

Se il corpo elettorale dell’Emilia-Romagna ora si ritrova spaccato in due, la stessa lacerazione c’è tra i militanti e i simpatizzanti del Partito democratico. È il risultato di una campagna elettorale che in regione ha diviso a metà quella che fino a poco tempo era una famiglia politica unita, con militanti che in tasca avevano la tessera del Pd, dell’Anpi e magari anche dell’Arci. E invece proprio l’Anpi emiliana nei mesi scorsi ha picchiato duro sulla necessità di votare No, con tutto quello che ne consegue in termini di rapporti con i dem e di presenze alle feste dell’Unità. Resta da capire come si è mosso nel dettaglio l’elettorato dem e come hanno reagito quei territori da sempre fortino di Bersani e compagni. Ad esempio quella Bolognina conosciuta in tutta Italia per la svolta del 1989, la stessa Bolognina «pronta a votare No», come annunciato a suo tempo da Mazzanti.

Resta da capire cosa succederà ora in regione, anche in termini di equilibri politici all’interno del Pd, da sempre il partito di governo. «L’Italia avrà certamente un bel futuro», ha detto a una tv cinese che lo aspettava fuori dal suo seggio bolognese Romani Prodi, il padre dell’Ulivo che, dopo mesi di ostinato silenzio, ha preso posizione per il Sì alla riforma. Ma ai cronisti locali il professore, che nel suo endorsement di qualche giorno fa non ha esitato a definire «modesta» e confusa la riforma, ha detto di sperare che «dopo questa campagna elettorale così accesa si ricompongano le cose nel Paese».