L’accordo è fatto. Da parte sua la Turchia si impegna ad aprire sei nuovi campi profughi e a effettuare controlli congiunti con la Grecia nel mar Egeo, ma anche a velocizzare ulteriormente le riammissioni dei migranti entrati illegalmente in Europa. Dall’altra l’Ue accelererà a sua volta le procedure per la liberalizzazione dei visti e destinerà ad Ankara, oltre al miliardo di euro già previsto per il 2015-2016, anche buona parte dell’aumento previsto per il Fondo per la crisi siriana.
Il tempo dell’accoglienza è finito. La strada scelta da Bruxelles per uscire dalla crisi dei profughi è quella ben conosciuta di tornare a chiudersi alle centinaia di migliaia di disperati in fuga dalla guerra e dalle violenze dell’Is. La novità è che questa volta lo fa chiedendo la collaborazione della Turchia, un paese fino a ieri criticato e tenuto ai margini dell’Unione per il poco rispetto dei diritti umani e per la sua politica contro i curdi, ma diventato improvvisamente un alleato prezioso nel fermare le partenze dei profughi. «Abbiamo bisogno della Turchia per difendere le nostre frontiere esterne», ha spiegato il presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker presentando il piano d’azione messo a punto con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan in due giorni di trattative durante i quali, ha voluto sottolineare Juncker, «vi assicuro che non ci sono stati solo gesti affettuosi».
Non è difficile credere che sia andata davvero così. Erdogan era arrivato a Bruxelles con l’intenzione di utilizzare la crisi dei profughi nella guerra contro Assad, e per questo aveva chiesto di armare l’opposizione a Damasco e di costruire delle zone cuscinetto in territorio siriano. Proposte rigettate da Bruxelles, intenzionata sopratto a impegnare Ankara nell’arginare il flusso dei migranti intensificando i controlli alle sue frontiere. Obiettivo per raggiungere era disposta a non badare a spese.
E così è stato. I sei nuovi campi che Ankara si è impegnata a realizzare verranno finanziati anche con soldi europei, ai profughi verrà permesso di lavorare e avranno accesso a scuole e sanità. Inoltre, è scritto nel memorandum, è prevista una «cooperazione tra gli Stati membri Ue e la Turchia nell’organizzazione di rimpatri congiunti di migranti irregolari, incluse misure di reintegro». Ma l’Ue prevede anche un ingresso «ordinato» dei profughi in Europa.
Per la Turchia si tratta comunque di un passo in avanti lungo il percorso di integrazione in Europa, e che la rende da oggi agli occhi dei governo europei sicuramente un alleato più affidabile rispetto al passato. Inoltre vede finalmente a portata di mano la possibilità per i suoi cittadini di spostarsi in Europa senza più avere il bisogno di un visto. Sembra restare fuori dall’accordo l’inserimento nella lista dei paesi sicuri, quelli dai quali non possono essere accettati rifugiati politici e al quale il premier turco teneva in modo particolare, ma la questione sembra essere solo rimandata. «E’ chiaro che la Turchia è un paese sicuro», ha detto infatti Juncker. «Chi pensa il contrario deve assumersi le conseguenze e chiedere la sospensione della richiesta di adesione all’Ue».
Per domani a Bruxelles è fissato il consiglio degli Affari interni dove si tornerà a parlare di rimpatri. Una bozza di documento finale prevede infatti la concessione di incentivi a paesi terzi soldi in cambio di una maggiore cooperazione interna di riammissioni e rimpatri. Tutto, spiega il documenti, sulla base del principio «more for more». Inoltre si ricorda che la riammissione dei propri cittadini è un obbligo previsto dal diritto internazionale che tutti gli Stati devono rispettare.
Oggi infine prende avvio la seconda fase della missione europea Eunavfor guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino che prevede la possibilità di fermare e sequestrare in acque internazionali le imbarcazioni degli scafisti.