Oggi è la giornata di mobilitazione internazionale a sostegno della resistenza di Kobane del popolo kurdo. Questa giornata è particolarmente attesa dalla popolazione e dai profughi kurdi che ho avuto modo di incontrare nei giorni scorsi con una delegazione della Sinistra Europea con cui siamo andati nella zona di Kobane.

Vi è infatti nel Kurdistan una grande consapevolezza sul fatto che queste settimane sono importantissime per il futuro del popolo kurdo. Decisivi sono gli esiti della battaglia di Kobane così come la mobilitazione internazionale è fondamentale per obbligare la Turchia ad aprire la frontiera con Kobane, sia a fini umanitari che per rifornire anche di armi pesanti i partigiani kurdi che fronteggiano l’Isis.
La battaglia di Kobane e la nostra mobilitazione internazionale sono quindi profondamente intrecciate: più forte è la mobilitazione, più la Turchia deve tenerne conto permettendo i rifornimenti per le milizie popolari delle Ypg/Ypj.

Discutendo con i kurdi due sono gli elementi che balzano agli occhi.

In primo luogo, che l’Isis è stato foraggiato, armato e sostenuto dalle potenze dell’area legate agli Usa in funzione anti Assad. Solo quando l’Isis ha mostrato il suo volto più apertamente criminale gli Usa hanno preso le distanze, ma questo non è avvenuto da parte del governo Turco che continua a sostenere nei fatti l’Isis. L’Isis non è spuntato dal nulla ma è il frutto della politica della Turchia, degli Usa e dei suoi alleati in Iraq e in Siria. Anche per questo la battaglia di Kobane, seguita fisicamente da migliaia di kurdi assiepati al confine con la Siria ed impediti a dare manforte ai propri fratelli ed alle proprie sorelle dai tank dell’esercito Turco, non è solo un fatto militare ma è un grande fatto politico, di cui è partecipe tutto il popolo kurdo.

In secondo luogo emerge l’enorme importanza politica della lotta del popolo kurdo per il futuro di tutta la regione. I kurdi in Turchia come in Siria – dove è egemone il Pkk di Ocalan – sono protagonisti di un processo di cambiamento politico e culturale enorme che coinvolge il complesso delle popolazioni comprese nelle aree dove i kurdi sono maggioranza. L’autogoverno delle aree siriane – la Rojava – come di quelle in Turchia ha dato luogo ad un vero e proprio processo di trasformazione sociale basato sull’autogoverno delle comunità, sulla partecipazione popolare, sul rispetto delle differenze etniche e religiose, sulla parità tra uomini e donne. Ogni carica pubblica apicale è sdoppiata: un uomo e una donna. In un’area geopolitica in cui i potentati regionali e gli Usa tendono a spezzettare l’area in realtà statuali fondati su confini etnici e religiosi, rigorosamente antidemocratiche e patriarcali, i kurdi hanno concretamente costruito una alternativa basata sull’autogoverno popolare. Le unità di autodifesa popolare delle comunità kurde in Siria sono composte da uomini e donne che hanno diverse religioni e che sono di diversi gruppi etnici. I kurdi sono nel mirino dell’Isis e dei Turchi proprio perché costituiscono un modello di organizzazione sociale antitetico a quello dei nazisti dell’Isis e dei sogni imperiali del premier Turco Erdogan.

I kurdi, sono portatori di una politica di pace, di una vera e propria alternativa di società: non sono un gruppo in guerra tra gli altri ma hanno tracciato la strada di una alternativa possibile, di una soluzione popolare, democratica e pacifica. Il socialismo del XXI secolo non vive solo in America Latina ma anche nella lotta e nella pratica del popolo kurdo; anche per questo gli Usa e l’Unione Europea hanno messo sulla lista delle organizzazioni terroristiche il Pkk del compagno Ocalan.

In questo contesto 3 sono i terreni di iniziativa che i compagni e le compagne kurde mi hanno rappresentato con maggior forza.

In primo luogo la richiesta che la Turchia apra la frontiera con Kobane a fini umanitari e per permettere il rifornimento delle milizie popolari .

In secondo luogo la richiesta al governo italiano e all’Unione Europea di togliere il Pkk dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

In terzo luogo la richiesta all’Italia e all’Unione Europea di un immediato intervento umanitario a favore della popolazione kurda. Nella generale emergenza umanitaria dovuta alla guerra in Siria, i profughi curdi, che sono scappati dalla Siria in Turchia sotto l’incalzare dell’offensiva militare dei nazisti dell’Isis, sono palesemente discriminati dal governo Turco. Nella sola area di Suruc vi sono un paio di centinaia di migliaia di profughi curdi e di questi meno di 7000 sono assistiti dal governo kurdo. Per tutti gli altri il peso dell’accoglienza per quanto riguarda il cibo, il vestiario, le cure mediche, l’alloggiamento, la scuola è sulle spalle della popolazione curda che vive in Turchia e delle municipalità curde della zona. Questa accoglienza popolare, fatta di una generosità commovente – impensabile per la nuova antropologia neoliberista che domina il devastato panorama italiano – ma certo non è sufficiente. La scarsità di medici, medicinali, viveri, abiti e quant’altro si possa immaginare alle soglie dell’inverno non è risolvibile da parte di municipalità che hanno visto nel giro di qualche mese raddoppiare la popolazione sul loro territorio. Vi è quindi un’emergenza umanitaria che è resa più grave dal fatto che il governo turco non solo se ne lava le mani ma che questi è anche il referente naturale per gli altri stati e per le agenzie internazionali. Il governo turco non solo non fa nulla di buono ma costituisce anche un pesante ostacolo agli interventi umanitari esterni. L’organizzazione di un canale di intervento umanitario che abbia come punto di riferimento le municipalità curde della zona, bypassando il governo centrale, è quindi un compito non rinviabile.

Spero in queste poche righe di aver dato conto dell’essenziale: i curdi sono perseguitati perché perseguono una strategia democratica e socialista. Per lo stesso motivo e con la stessa determinazione è un nostro dovere morale e politico sostenerli. Fino in fondo.