Votare «No» o uscire dall’aula. L’amletico dubbio percorre la minoranza – quella non dialogante – del Pd rispetto al voto finale sul Jobs act previsto per questa sera o al massimo domani mattina. La decisione verrà presa in una riunione prevista all’ora di pranzo. Quanti saranno i dissenzienti? Non arriveranno ad una trentina su un totale di 308: meno del 10 per cento. E di certo non avranno effetti sull’esito di un voto scontato e blindato.
A convincerne qualcuno in più proverà una delegazione di una cinquantina di Rsu Fiom del nord Italia che già un mese fa aveva chiesto all’ex segretario Cgil Guglielmo Epifani di «non rottamare lo statuto dei lavoratori». Epifani non gli ha mai risposto.

Il tutto mentre i «dialoganti» dell’area riformista gridano al miracolo per aver evitato l’ennesima fiducia posta dal governo. «Ha vinto il Parlamento che ha migliorato la delega grazie al lavoro della commissione», sostiene il capogruppo Roberto Speranza. «Contrariamente alle previsioni di alcuni profeti di sventura, non solo abbiamo cambiato nel profondo la delega sul lavoro con 37 emendamenti, ma abbiamo anche evitato la fiducia», ribadisce Cesare Damiano.

«In realtà siamo stati noi, riducendo il numero degli emendamenti, ad evitare la fiducia – spiega Giorgio Airaudo di Sel – . Nel gruppo del Pd in aula intervengono solo quelli della commissione ribadendo che il compromesso non è il massimo, ma anche loro voteranno per un’autodelega in bianco al governo che manderà in soffitta lo statuto dei lavoratori», insiste.

Gli unici brividi della giornata a Montecitorio vengono dai 17 voti di deputati Pd all’emedamento di Sel 1.68 che proponeva «che l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori si applichi integralmente trascorso un anno dalla data dell’assunzione». Fra tanti voti attesi – Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Ileana Argentin, Barbara Pollastrini, Stefano Fassina – arriva a sorpresa anche quello dell’ex ministro per le Pari opportunità Barbara Pollastrini: «Ho riconosciuto e riconosco l’impegno del gruppo Pd in commissione ma penso che l’aula abbia il dovere di esprimersi. E, per quanto riguarda la mia piccola storia, il tema dell’allargamento dei diritti intesi nella loro unitarietà, umani, civili e sociali, è una delle ragioni del mio impegno politico».

Caos nell’aula invece quando i grillini tentano di imitare la nuova norma sul controllo a distanza riprendendo con i telefonini il lavoro dei deputati Pd e poi cercando di impedire al relatore della legge Cesare Damiano di intervenire. Il presidente di turno, Roberto Giachetti, decide di espellere i deputati del Movimento 5 stelle Ivan Della Valle e Michele Dell’Orco, dopo aver chiesto diverse volte ai deputati di abbassare i cellulari.

La destra, come ormai le succede sempre, si spacca a colpi di improperi. La destra sociale ha la faccia di Renata Polverini di Forza Italia che messe da parte gli scandali giudiziari si è riscoperta sindacalista ed ha votato a «titolo personale» tutti gli emendamenti dell’opposizione che tentavano di salvare barlumi di articolo 18, rispondendo per le rime a Sergio Pizzolante dell’Ncd che accusava Forza Italia di «stato confusionale».

Il Jobsact si avvicina dunque allo striscione della sua seconda approvazione, quella alla Camera. Al Senato la terza lettura sarà una facile e veloce tappa di trasferimento: l’accordo politico con Sacconi è blindato e non ci saranno sorprese.

Rimane ancora da capire però quando e come arriveranno le deleghe legislative. La prima sarà certamente quella sul contratto a tutele crescenti che certifica l’addio all’articolo 18 per i neo-assunti e per coloro che cambieranno lavoro. L’idea del governo è di farlo entrare in vigore dal primo gennaio per legarli agli sgravi fiscali per le imprese che assumono previsti nella legge di stabilità. Il rischio però di profili di incostituzionalità è reale: la delega deve avere un parere non vincolante delle commissioni Lavoro e rischia di essere dunque retroattiva con tutti i problemi che questo comporterebbe.

Sarà comunque la prima di un numero imprecisato di deleghe in bianco che riguarderanno l’intera legislazione sul lavoro: dai contratti . L’unica certezza è che i tanto sbandierati diritti e tutele ai precari saranno limitati ai soli al contratto di collaborazione coordinata e continuativa». Una goccia nel mare in espansione del precariato.