La nuova narrativa turca cerca di convincere il sud est del paese che nel mirino di Ankara non ci sono i kurdi, ma il Pkk. Il governo lo ripete ossessivamente: il primo nemico della minoranza è il Partito Kurdo dei Lavoratori. Così non è: la campagna in corso dal luglio 2015 non è più solo militare, ma anche politica e sociale.

Ieri il governo, sull’onda delle purghe post-golpe che hanno colpito il cosiddetto Stato parallelo dell’imam Gulen, ha licenziato altri 27.715 insegnanti e ne ha sospesi oltre 9mila. L’accusa è la stessa che ha portato due settimane fa alla sospensione di 11mila dipendenti del Ministero dell’Educazione: legami con il Pkk. Alle proteste degli studenti che ne sono seguite, a Diyarbakir, 22 persone sono state arrestate.

Intanto nella decina di comuni amministrati dal partito di sinistra pro-kurdo, Hdp, la mano dei commissari si vede già: quattro delle sedi dei consigli comunali nel distretto di Van sono stati occupati dalla polizia e trasformati in stazioni militari. Nelle stesse ore ad Ankara, sempre nell’ambito della più ampia campagna di repressione, che non coinvolge solo la comunità kurda ma anche oppositori turchi, 45 studenti universitari venivano condannati a 10 mesi per aver protestato contro il presidente Erdogan nel dicembre 2012, durante la cerimonia di inaugurazione di un satellite.

In un simile contesto di costante attacco alle libertà politiche dei cittadini turchi, si è inserito ieri il segretario dell’Hdp Demirtas chiedendo la tregua immediata tra Ankara e Pkk: «Sia il governo che il Pkk devono abbandonare le armi. Parliamo di cessate il fuoco, che significa non spararsi a vicenda, non compiere attacchi dinamitardi o operazioni militari, dando così una chance alla politica».

La chiamata non sarà accolta da Ankara. Se il leader kurdo Ocalan, nei giorni scorsi, ha fatto appello alla ripresa del dialogo, la risposta del governo turco arriva in modo indiretto: ieri l’esecutivo ha presentato al parlamento una mozione che chiede l’estensione del mandato per dispiegare truppe in Iraq e in Siria, in chiave anti-kurda. Probabilmente sarà accolta il prossimo 2 ottobre, secondo il calendario parlamentare.