L’Arabia saudita è chiara: il nostro nemico sono i ribelli sciiti, non al Qaeda. Eppure è il suo braccio più pericoloso, al Qaeda nella Penisola Arabica, a raccogliere i frutti dell’operazione saudita in Yemen. In pochi giorni miliziani qaedisti, affiancati da tribù sunnite, sono avanzati nella provincia meridionale di Hadramawt, occupando la città di Mukalla. Porto, aeroporto, terminale del greggio e una base militare sono finiti nelle mani qaediste.

A sostegno dell’offensiva si sono schierati miliziani tribali e religiosi sunniti, membri di una nuova formazione denominata Consiglio dei Sapienti Sunniti, che ha spinto alla diserzione l’esercito fedele al presidente Hadi: nei giorni scorsi le truppe governative nella provincia sud si sono date alla fuga per paura dell’avanzata di al-Qaeda.

«Il Consiglio ha scelto giovani locali per organizzare checkpoint vicino ai giacimenti di petrolio e all’aeroporto al-Rayyam – ha detto un funzionario yemenita alla Reuters – La situazione ora a Mukalla è tranquilla». La “tranquillità” è data però dal nuovo potere che si è di fatto impadronito della zona: l’assenza delle istituzioni statali, unita al caos provocato dai raid sauditi, ha permesso al nuovo gruppo di assumere il controllo di Mukalla. Dalle poche informazioni che giungono dalla città si sa che i miliziani sarebbero arrivati già due settimane fa, il tempo necessario a definire una sorta di alleanza con le tribù, a razziare le banche e svuotare la prigione dei suoi detenuti.

Dietro la rinnovata offensiva qaedista c’è la guerra civile yemenita, ma da ben prima la ribellione sciita al Qaeda aveva la propria roccaforte nel paese. Tanto forte la sua presenza che la Casa Bianca aveva fatto dello Yemen il modello della guerra al terrore a distanza: droni contro i miliziani, un’operazione venduta all’esterno come vincente. Oggi quel modello si mostra una volta di più fallimentare: non solo al Qaeda è ancora radicata ma sta apertamente approfittando del conflitto scatenato dall’alleato Usa, l’Arabia Saudita.

Che alle preoccupanti notizie che arrivano da Mukalla reagisce con estrema sincerità: «Il target dell’operazione è sostenere la legittimità del presidente Hadi e impedire agli Houthi di danneggiare gli yemeniti e i paesi vicini – ha detto ieri il portavoce della coalizione anti-sciita, Ahmed Asiri – Combattere al Qaeda richiede altre strategie. Una volta che avremo reso stabile lo Yemen, allora non ci sarà più posto per al Qaeda».

Chissà di quale stabilità favoleggia Asiri: parla di oltre 700 morti e 150mila sfollati? O di 16 milioni di persone senza elettricità e di tanti altri a cui è impossibile accedere a cibo e acqua potabile? I bombardamenti che colpiscono le affollate città di Sana’a e Aden hanno svuotato le strade, fatto scomparire lo Stato, riempito di feriti e cadaveri ospedali al collasso. Tutto per non accogliere le richieste di maggiore inclusione della minoranza sciita che per anni ha cercato un dialogo con il governo centrale.

La soluzione negoziale per ora resta in mano all’Iran: ieri il ministro degli Esteri Zarif ha parlato al telefono con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon presentando il piano di cessate il fuoco e governo di unità sponsorizzato da Teheran, la reale preda dell’aggressione di Riyadh allo Yemen.