A quattro giorni dalle elezioni politiche che potrebbero portare alle soglie della stanza dei bottoni Unidos Podemos, la coalizione fra Podemos e Izquierda Unida, scoppia un enorme scandalo di spionaggio illegale che coinvolge direttamente il ministro degli interni di Mariano Rajoy, Jorge Fernández Díaz.

Oscuro personaggio che difende la polizia quando picchia i migranti disperati che cercano di entrare in Europa arrampicandosi sul filo spinato di Ceuta e Melilla («chi li vuole qui, mi mandi il suo indirizzo che glieli mandiamo a casa»), che concede le croci d’argento alla Santissima Vergine dei dolori e a Nostra Signora Maria Santissima dell’Amore, e reso noto da frasi come «l’aborto è come ETA» o «il matrimonio omosessuale non garantisce la sopravvivenza della specie» o anche le «vittime del franchismo cercano i loro familiari per soldi», ebbene questo stesso personaggio è da ieri al centro di un’ulteriore polemica dopo che il quotidiano online Público ha reso note le registrazioni di varie conversazioni fra il ministro e il capo dell’Ufficio antifrode catalano Daniel de Alfonso.

In queste conversazioni del 2014 e 2015 il ministro incitava de Alfonso a costruire prove per incriminare gli esponenti politici dell’indipendentismo catalano. Ma questa è solo la punta dell’iceberg di una prassi instaurata con l’arrivo dei popolari al potere. Appena preso possesso della poltrona che controlla la polizia, Fernández Díaz ha creato la Direzione aggiunta operativa (Dao) con il compito esplicito di produrre dossier anonimi contro i nemici politici del momento, dagli indipendentisti a Podemos.

Una vera e propria macchina del fango istituzionale, di cui si sono imbevuti negli anni i giornali più vicini alla destra. Mentre tutti i partiti nel Parlament catalano (eccetto il Pp) hanno già chiesto la testa di de Alonso, che verrà presumibilmente rimosso dall’incarico a giorni, il ministro popolare – che nelle conversazioni fa capire al suo interlocutore che Rajoy, «uomo discreto», è al corrente di tutto – dice di sentirsi «una vittima» degli eventi. Tutti gli altri partiti hanno chiesto le dimissioni del ministro – sarebbe già il secondo caso quest’anno di un ministro ad interim costretto ad andarsene – mentre il presidente catalano Carles Puigdemont gli chiede di rinunciare alla sua candidatura (il ministro è capolista del Pp in Catalogna).

Nonostante la gravità delle accuse, è improbabile che questo nuovo scandalo scalfisca lo zoccolo duro popolare – secondo le inchieste intorno al 30% degli elettori – che nonostante appoggerà tutto un partito immerso in scandali di corruzione di ogni tipo e bloccato in un imbarazzante immobilismo dal suo presidente Mariano Rajoy.

Non sorprendentemente, Ciudadanos, il suo alleato potenziale più vicino – con cui però è impegnato in una lotta all’ultimo voto – chiede per l’ennesima volta la testa di Rajoy per permettere una grande coalizione con i socialisti, sogno di Albert Rivera e dello stesso Rajoy, ma che – per ora – il socialista Pablo Sánchez dice di non volere.

Il problema è che i socialisti, che hanno centrato la campagna in attacchi a Podemos e soprattutto a Pablo Iglesias, sono gli unici a non aver spiegato con chi intendono governare il paese dopo le elezioni. Unidos Podemos ha incassato gli attacchi ripetendo all’infinito il mantra «non siamo noi il nemico ma il Pp», evitando il corpo a corpo diretto con il Psoe, forti anche dei sondaggi che li danno saldamente al secondo posto, a pochissimi punti dal Pp. Ma tutti sanno che, nonostante il quasi sicuro sorpasso della coalizione di sinistra sul Psoe, quella di Iglesias e Garzón (Izquierda Unida) potrebbe essere la classica vittoria di Pirro, se un Sánchez indebolito finisse per dover soccombere alle pressioni dell’apparato socialista che vede come fumo negli occhi Iglesias e soprattutto l’idea di discutere l’assetto costituzionale dei territori.

Il rischio che i socialisti decidano di appoggiare, magari con un’astensione, un governo popolare appoggiato da Ciudadanos, piuttosto che un governo rosso-viola, è molto concreto. Non a caso Iglesias sfida Sánchez a consultare la base per sapere con chi preferirebbe costruire un accordo di governo. Ma questa battaglia inizierà lunedì dopo il voto.

Come è evidente dalla lista di nomi maschili di questa cronaca, nonostante i passi in avanti, il cammino verso la parità nella politica spagnola è ancora molto lungo. La sindaca Ada Colau, referente ormai indiscussa della sinistra catalana e spagnola, che si sta spendendo moltissimo per le varie liste di Unidos Podemos (che si presenta in formati diversi nelle varie circoscrizioni), proprio martedì raccontava scossa che nonostante sia una figura pubblica, pochi giorni fa ha subito un tentativo di molestia sessuale da parte di «persone colte, istruite e di sinistra» durante un evento pubblico. Sotto i fumi dell’alcol, due uomini «facevano i simpatici» e le proponevano «di fare cose».

In quest’anno di mandato, Colau è stata anche insultata in maniera sessista in varie occasioni. In due dei casi più vergognosi le è stato detto che dovrebbe fare «la pescivendola al mercato» (il giorno dopo Colau di buonora se ne andò a farsi fotografare al mercato) e che era degna «solo di fregar pavimenti».

Colau si è anche detta triste perché «siamo venuti con l’idea di femminilizzare la politica e conciliare gli orari e non ci siamo riusciti».