«Le parole del ministro Poletti sono sbagliate: perché sembrano dire che il referendum è un problema e che perciò è meglio evitarlo. Il governo non deve dare l’impressione di cercare scorciatoie». Roberto Speranza, esponente della minoranza Pd – «preferisco si dica “sinistra Pd”», tiene a precisare durante l’intervista – spiega che «bisogna rispettare i cittadini che hanno firmato i referendum della Cgil» e che a loro si potrebbe provare a dare risposta già lavorando in Parlamento, e da parte dello stesso esecutivo guidato dal nuovo premier Paolo Gentiloni.

Il ministro del Lavoro non sembra apprezzare i tre referendum della Cgil. Addirittura mette davanti le elezioni anticipate, quasi a esorcizzarli.

Noi dobbiamo avere innanzitutto rispetto per quel milione e oltre di persone che hanno firmato i tre quesiti e che legittimamente, come prevede la Costituzione, li hanno proposti al Paese. Le parole del ministro Poletti sono sbagliate perché sembrano indicare che si stia cercando una scorciatoia per evitare il problema. Poi sul merito il dibattito è aperto: lui difenderà la sua legge, è legittimo, ma è altrettanto importante rispondere alla richiesta di partecipazione dei cittadini. Peraltro si è espresso proprio nelle ore in cui si votava la fiducia: è davvero singolare che già si annunci la fine del nuovo governo.

Ma se si arrivasse al voto, rivivremmo la stessa scena vista per il referendum costituzionale? Voi schierati contro Poletti e Renzi?

Nei referendum della Cgil è sicuramente rappresentata una parte fondamentale della nostra sensibilità di sinistra, ma io sono un deputato di maggioranza, sostengo questo governo. Intendo dire che almeno alcune delle domande poste dai referendum possiamo provare ad affrontarle nelle prossime settimane in Parlamento. Ci sarà probabilmente un confronto serrato sulla legge elettorale, da approvare entro fine legislatura, ma perché non tentare di utilizzare i mesi che abbiamo davanti anche per rispondere ad alcuni importanti temi sociali? Ne dico due: scuola e lavoro. Ci aiuterebbe a ritrovare la sintonia con un pezzo dell’elettorato di centrosinistra. Dal referendum del 4 dicembre e dalle elezioni amministrative è emersa una domanda molto forte di discontinuità.

Come ci mettereste mano? Qualche esempio?

Sul Jobs Act penso ad esempio alla questione dei voucher: le cifre sono ormai eclatanti, oltre cento milioni da inizio anno ad autunno, in un trend crescente rispetto al 2015. È un tema che non lascerei alla propaganda di Salvini, facciamo in modo di assumerlo noi, come Partito democratico.

Ma è credibile che il ministro Poletti faccia una autocritica così profonda? La sua riconferma sembra voler dire piuttosto che sulle politiche del lavoro non si correggerà granché.

Poletti si rende conto che c’è un problema, visto che ha parlato più volte di «monitoraggio» dei voucher e ha fatto un primo provvedimento per la tracciabilità. Evidentemente non è bastato, servono misure più radicali.

E sulla scuola? L’ex sindacalista Valeria Fedeli alla guida del ministero è un segnale verso la sinistra e la Cgil?

Sicuramente le storie personali contano, e la nuova ministra segna una discontinuità, ma io andrei piuttosto sul cambio di metodo: apriamo finalmente un dialogo, un vero e proprio tavolo con insegnanti e studenti. Facciamo un check up dei problemi della scuola e cerchiamo soluzioni condivise: io la «buona scuola» non l’ho votata, sono il primo a pensare che si debba cambiare decisamente verso.

Tutto questo si può fare nei pochi mesi di un governo che appare a scadenza? O forse per voi va bene che si arrivi a fine legislatura, al 2018?

Non sono provvedimenti che richiedono mesi e mesi, con la volontà ci si può concentrare su alcuni dossier importanti. Credo che per questo governo, per il Pd, sia importante assumere la lezione del referendum costituzionale e delle amministrative, anche per riallacciare con tanta parte del nostro elettorato. Non dirò io quando si debba mettere fine al governo, ma certamente risolvere i nodi sociali che ho indicato ci permetterebbe di arrivare alle elezioni in sintonia con il nostro popolo, che ci siamo un po’ persi per strada mi pare.

La priorità, comunque, anche per voi è trovare una nuova legge elettorale?

Sì, ma questa volta deve farla il Parlamento, e non il governo. Gentiloni ha detto giustamente che il suo esecutivo può «accompagnare» questo processo, e mi pare corretto. Io stesso ho vissuto come una violenza la fiducia sull’Italicum, mi sono dimesso da capogruppo e non l’ho votata. Il Parlamento discuta anche al di fuori dei limiti della sua maggioranza.

I temi del lavoro, della scuola, l’autocritica di cui abbiamo detto, può fare tutto Renzi segretario? O magari dovrà essere un altro leader? Speranza si presenta come avversario dell’ex premier al Congresso del Pd?

Io lavoro per costruire un’alternativa a Renzi, proprio a partire dalle questioni sociali. Se il Pd non riparte da questi nodi, perderà il suo popolo e lo consegnerà ai populisti. Negli ultimi anni abbiamo dato l’impressione di essere a favore di quelli che già hanno o stanno bene, non di chi è escluso e vive ai margini. Io sto lavorando su questo, non guardo ad altro, io ci sono.