Tiene la nuova tregua di 72 ore scattata a mezzanotte tra domenica e lunedì e al Cairo ieri sono giunti anche i delegati del governo Netanyahu. E’ perciò ripartito il negoziato indiretto, con la mediazione degli egiziani, per un accordo di cessate il fuoco permanente. Senza grandi possibilità di successo in verità. In Israele tanti invocano l’escalation dell’offensiva militare che pure ha già ucciso circa 2000 palestinesi, per 2/3 civili, e una sessantina di soldati. E proprio intorno ai soldati entrati in mese scorso a Gaza cresce il mito di “Margine Protettivo”. A tal punto che va a ruba persino lo sperma dei militari delle unità di combattimento. L’Ospedale Rambam di Haifa ha comunicato che da quando è cominciata la “nuova guerra” contro Gaza, un numero crescente di donne che si rivolgono alla banca del seme fa richiesta di donatori con un background di combattenti. Sperma guerriero per avere figli più forti. D’altronde lo stesso ospedale permette alle donne che desiderano un bambino di poter scegliere un donatore con un passato nelle unità scelte dell’Esercito.

 

«Il servizio militare racconta qualcosa della persona», ha spiegato al sito Ynet Dina Aminpour, responsabile della banca del seme del Rambam Hospital, «un uomo che ha servito in un ruolo di combattimento ha una forte costituzione fisica che conferma le aspirazioni genetiche delle donne (che vogliono un figlio, ndr)». Aminpour ha aggiunto che una sessantina di israeliane si rivolgono ogni mese alla banca del seme dell’ospedale. Negli ultimi giorni addirittura la metà ha chiesto donatori con un passato di combattente nell’Esercito, un requisito divenuto importante come l’altezza e il livello di istruzione.

 

Al Cairo invece si decide della qualità della vita futura dei neonati di Gaza e del diritto di bambini e adulti di vivere una esistenza in dignità e libertà e non più in una prigione a cielo aperto. E’ una richiesta di tutta la popolazione che le varie forze politiche, quindi non solo Hamas, che compongono la delegazione palestinese hanno posto sul tavolo dei mediatori egiziani. Israele da parte sua insiste per la smilitarizzazione della Striscia. Punti su cui entrambe le parti non intendono cedere. Domenica sera da Doha il leader dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, ha detto che una tregua duratura deve portare alla revoca del blocco alla Striscia di Gaza. Il cessate il fuoco di 72 ore raggiunto  con Israele – ha spiegato Meshaal all’agenzia Afp – «è uno dei mezzi o delle tattiche destinate alla riuscita dei negoziati o alla distribuzione degli aiuti umanitari. Il nostro obiettivo è che le richieste palestinesi siano soddisfatte e che la Striscia viva senza blocco». Un’intervista alla quale il governo Netanyahu ha risposto con le dichiarazioni del ministro per la sicurezza interna Yitzhak Aharonovich. «C’è poca speranza di raggiungere un accordo. Ci vorrebbe un mago – ha commentato il ministro – A mio giudizio alla fine delle 72 ore si tornerà ai combattimenti e Israele deve pensare al passaggio successivo».

 

L’incubo della ripresa della “guerra di attrito” vista negli ultimi giorni (almeno 15 morti tra i palestinesi, gran parte dei quali civili) o di una nuova pesante escalation militare, grava sulla Striscia di Gaza mentre le organizzazioni umanitarie continuano la distribuzione agli sfollati. Tante famiglie, approfittando della tregua, ieri sono tornate a casa. Ma chi la casa l’ha perduta nei devastanti bombardamenti del mese scorso – circa 80mila persone, secondo fonti locali – non può fare altro che vivere nelle scuole dell’Unrwa.

 

Fioriscono nel frattempo le iniziative internazionali a sostegno dei palestinesi di Gaza e dei loro diritti. L’Ong turca IHH ha comunicato ieri di volere organizzare un nuovo convoglio navale per rompere il blocco di Gaza attuato da Israele. La IHH aveva organizzato assieme alla Freedom Flotilla la spedizione del maggio 2010, bloccata in acque internazionali l’arrembaggio dai commando israeliani saliti a bordo della nave Mavi Marmara (9 attivisti uccisi). Un assalto che aveva provocato il gelo nelle relazioni fra Tel Aviv e Ankara che dura ancora oggi nonostante un tentativo di riconciliazione mediato l’anno scorso da Washington, che aveva portato alle scuse di Israele e all’avvio di una trattativa sull’indennizzo delle famiglie delle vittime.

 

L’Associazione della stampa estera in Israele e nei Territori palestinesi occupati (Fpa), intanto protesta per i metodi che descrive come «poco ortodossi» usati dalle autorità di Hamas e dai loro rappresentanti nei confronti dei giornalisti internazionali lo scorso mese a Gaza. «In molti casi – dice la Fpa – giornalisti stranieri sono stati molestati, minacciati o interrogati su storie o informazioni riportate nei loro media o sui social media». La Fpa afferma di aver appreso che Hamas starebbe cercando di mettere in piedi una procedura di ‘valutazione’ per schedare alcuni giornalisti.