Alla fine, Erdogan ha ceduto. L’Akp – il partito islamico che governa in Turchia e che lui ha fondato -, ha ritirato il disegno di legge che mirava a depenalizzare gli abusi sui minori, e che aveva provocato un’ondata di sdegno a livello internazionale. Il progetto prevedeva la cancellazione della pena per gli stupratori di minorenni qualora avessero sposato la vittima e nel caso l’atto fosse stato ritenuto consensuale. La legge era passata in prima lettura in Parlamento giovedì scorso, ma in mancanza di 184 voti (un terzo dei seggi) necessari per l’approvazione era stato rinviato in seconda lettura.

Le proteste di piazza e quelle dei partiti di opposizione – i socialdemocratici del Chp e i filo curdi dell’Hdp (che comunque non si recano in aula in solidarietà con i loro compagni arrestati), hanno indotto Erdogan a suggerire al governo «di prestare attenzione alle critiche e ai suggerimenti per trovare una soluzione basata su un ampio consenso». Da qui l’annuncio del premier Binali Yildirim di rinviare il disegno di legge alla commissione Giustizia perché venga rielaborato: «Per tenere conto delle opinioni di tutti e risolvere la questione».

La Turchia è la prima in Europa e terza al mondo per numero di spose bambine. Secondo l’Istituto nazionale di statistica (Tuik), nel 2015 sono state oltre 31.330. Dati al di sotto del reale, secondo l’associazione Kamer, anche perché non considerano le unioni religiose, che non hanno valore legale. La legge proibisce i matrimoni prima dei 17 anni, se non con il consenso dei genitori o con l’autorizzazione di un giudice e «in circostanze eccezionali» prima dei 16 anni. Secondo il governo, si sarebbe così sanata una situazione di fatto, facendo «tornare a casa dai figli molti giovani messi in carcere senza essere stupratori» perché quando una minore partorisce, l’ospedale chiama la polizia. La legge sarebbe stata applicata «per una sola volta e in modo retroattivo, sui matrimoni contratti prima dell’11 novembre del 2016».

I dati dell’associazione Kamer, impegnata contro la violenza sulle donne, nel sud-est turco a maggioranza curda, il 51% delle donne si è dovuto sposare prima dei 18 anni. Kamer è stata creata nel 1997. Quell’anno – ha dichiarato alla stampa la sua fondatrice, Nebahat Akkoc, che in Germania ha ricevuto il premio Anne-Klein – un sondaggio condotto a Diyarbakir evidenziava che 9 donne su 10 subivano violenze quotidiane. Nel 2009, però, 9 su 10 dichiaravano di non voler più cedere di fronte alle violenze.

Ieri, la reazione delle donne turche sembrava confermare questa volontà di resistenza. Oltre alle femministe, si sono fatte sentire anche le donne islamiche per chiedere che la legge venga ritirata e non solo sospesa: il rischio, infatti, è che il testo venga rimaneggiato in modo da abbassare a 12 anni la soglia per essere considerate consenzienti, Nel paese, il numero di bambine che partorisce tra i 10 e i 15 anni è molto elevato (il 32,5% delle intervistate da Kamer). A schierarsi contro il progetto di legge, anche l’Associazione per la donna e la democrazia (Kadem), che ha come vicepresidente la figlia di Erdogan, Sumeyye Bayraktar.

In Turchia, su 79 milioni di abitanti, solo il 29,9% dalle donne ha un lavoro (nell’Ocse lavora oltre il 58% delle donne). Le turche hanno acquisito il diritto di voto nel 1934, ma oggi in Parlamento sono scarsamente rappresentate. In compenso, sono molto presenti nei consigli d’amministrazione di grandi imprese: l’11% (dopo la Norvegia). Il Tusiad, l’equivalente della Confindustria, ha una presidente, Cansen Basaran, e così pure è donna la Segretaria generale del sindacato Disk, Arzu Cerkezoglu, che ha anche subito il carcere.