È tornato in questi giorni al Teatro alla Scala, dopo ben 31 anni di assenza (l’ultimo allestimeno risale al 1984: direzione di Sylvain Cambreling, regia del compianto Patrice Chéreau), Lucio Silla, opera composta da Wolfang Amadeus Mozart all’età di sedici anni su commissione del Regio Ducal Teatro di Milano, dove andò in scena nel 1772 con un modesto successo.

Lo spettacolo, coprodotto con il Festival di Salisburgo e con Mozartwoche Salzburg/Fondazione Mozarteum, dove ha debuttato nel gennaio del 2013, segna il debutto al Piermarini del direttore francese Marc Minkowski, paladino della musica antica, e del regista canadese Marshall Pynkoski, accompagnato dalla moglie coreografa Jeannette Lajeunesse Zingg. L’ambientazione della vicenda non è la Roma torva della tarda età repubblicana, ma quella frivola della fine del Settecento, stilizzata nelle scene e nei costumi di Antoine Fontaine (noto per il lavoro fatto in film come Vatel di Roland Joffé e Marie Antoinette di Sofia Coppola).

Nessuno pensi che vogliamo far credere che siamo nel XVIII secolo, il nostro è teatro del XXI secolo», ha affermato Pynkoski, che si è servito di strumenti, costumi e danze tardobarocche con la volontà di restituire un’impressione dell’estetica dei tempi di Mozart, «senza però fare teatro da museo», senza velleità filologiche.

Il libretto di Giovanni De Gamerra (con alcuni aggiustamenti di Pietro Metastasio), farraginoso e drammaturgicamente inerte, è stato secondo tradizione tagliato, abbreviando numerosi recitativi e stralciando completamente il personaggio del tribuno Aufidio (il secondo tenore dell’opera); ne è invece stata ripristinata l’aria finale di Silla, non musicata da Mozart, tratta dalla versione dell’opera di Johann Christian Bach: «un’aria che Mozart – spiega Minkowski – avrebbe potuto benissimo comporre per l’allestimento milanese, se non avesse avuto problemi con l’interprete del ruolo.

Mozart probabilmente conosceva quest’aria del suo amico Bach grazie all’amicizia con Anton Raaff, che aveva cantato la parte alla prima di Mannheim». Il direttore attraversa la partitura (drammaturgicamente ma non musicalmente) acerba di Mozart, cavandone con opportune sottolineature ogni sorta di prelibatezza melodica e armonica. L’orchestra, per cui sono previsti solo 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani e archi secondo disponibilità, viene suonata con gli spessori dell’orchestra romantica, imponendoci di registrare la libertà assoluta e la sconcertante chiaroveggenza del giovane genio mozartiano.

Nell’impresa Minkowski viene assecondato da una compagnia di giovani cantanti guidati da Rolando Villazon, sostituito fino al 12 marzo dal veemente e sgraziato Kresimir Spicer, dalla virtuose ma flebili Lenneke Ruiten, Inga Kalna e Giulia Semenzato, e su tutti dalla bravissima Marianne Crebassa.