Le più recenti ricerche sul lavoro giornalistico dicono una cosa incontrovertibile: calano i dipendenti, i subordinati, tutti coloro che fanno riferimento al contratto di lavoro nazionale. Crescono gli autonomi, i parasubordinati, le partite iva, tutto l’esercito senza condottiero di colleghi che vive di questo lavoro. Il rapporto è, fatto dieci il totale, di 4 a 6. Tra i giornalisti la crisi è dura: negli ultimi cinque anni sono stati tagliati quasi 4mila posti di lavoro, poco meno del 20% dei dipendenti che oggi sono poco più di 15 mila sui 110mila iscritti all’Ordine professionale.

Il mondo dei giornalisti autonomi è più numeroso di quello dei dipendenti, ma è meno sindacalizzato. Non perché non abbiano bisogno di sindacato ma perché non lo cercano, non gli serve e vivono sulla propria pelle quanto possa essere crudo il mercato con le paghe da fame da cinque euro a pezzo – illeciti anche per un contratto lungamente contestato. Questi colleghi sono stritolati. E il sindacato non è attrezzato a sufficienza per garantire servizi mirati.
Per trasformare una debolezza in una forza è necessario allargare il campo, rovesciare i paradigmi e aprire le prospettive. È ovvio che un autonomo per definizione non rientra nel rapporto normato da un contratto, rivolto ai subordinati, oggetto della trattativa contrattuale in corso. Sarebbe un’ennesima occasione perduta non provare a intercettare i loro bisogni e non darne una riconoscibilità.

Stampa Romana ha provato a farlo, approvando uno Statuto del lavoro autonomo (qui il testo). È un lavoro che abbiamo messo a disposizione della Federazione Nazionale della Stampa. Non si limita a chiederne l’accoglienza in funzione del confronto contrattuale con gli editori ma ha un’ambizione più larga. Lì dentro abbiamo scritto cosa si può offrire alla maggioranza della nostra categoria, in quali orizzonti inserire la loro fatica quotidiana; come agire anche sull’ordine dei giornalisti e sul dibattito interno della categoria; come dare un segnale al governo Renzi che vuole realizzare uno statuto del lavoro autonomo.

Nel nostro statuto abbiamo definito una serie di diritti minimi a prescindere dalla configurazione giuridica del rapporto di lavoro di collaborazione. Chiediamo la descrizione dell’opera e della prestazione con inizio, durata del rapporto e tempi di consegna. Il pagamento deve essere rispettoso di un compenso veramente equo in base all’articolo 36 della Costituzione con contributi versati dai datori di lavoro. Sono creati fondi per garantire i pagamenti in caso di mancata liquidazione della prestazione. Si vuole estendere la Dis-Coll, nonostante i limiti che caratterizzano questo sussidio. Si offre rappresentanza sindacale accanto ai comitati di redazione. Si vara un fondo per le garanzie legali.

Lo statuto individua nell’autoimpiego una forma associativa e di partecipazione per non isolare il collega autonomo, abbandonandolo alla povertà e alle paghe ridicole offerte dai committenti. Vogliamo invece valorizzare la capacità del freelance di transitare da un’attività a un’altra, dal web alla tv, dal blog alla copertura dei social network, promuovendo la sua forza produttiva e propulsiva. Questo statuto dialoga anche con gli altri lavoratori autonomi nella coalizione 27 febbraio su tasse, reddito minimo legale e previdenza. Questo fronte può condividere un obiettivo, intrecciando i percorsi. Un modo per uscire dallo splendido isolamento della nostra categoria. Un vezzo o un vizio che non possiamo più permetterci.
* Segretario di Stampa Romana