Lunedì 11 ottobre 2016, la città di Parigi apre la sua prima (e la prima in Francia) stanza del consumo, un luogo dove assumere droghe illegali con la assistenza discreta di personale professionale, tenendo basso il livello di rischio droga correlato e soprattutto nullo quello di morte per overdose.

A dire il vero non è questa la prima volta dei francesi: nel 2009 l’associazione dei consumatori d’oltralpe, ASUD, ne aveva aperta una utilizzando i propri locali, tra provocazione e buone prassi, forti dell’evidenza di efficacia di un servizio diffuso in Europa dal 1986, che ha nei decenni dimostrato – e letteratura scientifica ce n’è in abbondanza (vedi su www.eurohrn.eu e www.emcdda.europa.eu) – un forte impatto sulla riduzione di rischi e danni soprattutto per chi consuma per via iniettiva.

Sette anni per passare dai pionieri (che sono, come già nel 1981 per la distribuzione di siringhe sterili in Olanda, proprio i consumatori) agli operatori, da un progetto autogestito a un servizio del sistema sanitario, passando per l’autorevole giudizio positivo dell’Istituto Francese della Salute e della Ricerca Medica, nel 2010.

Sette anni anche di contestazioni di parte della popolazione adiacente l’ospedale Lariboisière, zona Nord di Parigi, nelle cui vicinanze è ubicata la stanza, che temeva per la sicurezza, ma che hanno trovato nella sindaca Anne Hidalgo, e nella ministra della Salute Marisol Touraine rassicurazioni e promesse di buona gestione e controllo.

Del resto, gli studi di impatto delle stanze sul territorio condotti soprattutto in Germania, Svizzera e Olanda hanno dimostrato disagi scarsi o nulli, nessun significativo aumento della microcriminalità locale e, di contro, effetti significativi nella riduzione degli episodi di uso a scena aperta. Così dopo Grecia, Spagna e Portogallo, un altro paese del Sud Europa – storicamente più lenta e restia ad innovare sulla base dell’evidenza e dei diritti dei consumatori – apre a un servizio che opera dalla metà degli anni ’80 e ha raggiunto nel 2014 le 88 unità in Europa, dato in crescita nel 2016 grazie a Portogallo, Francia, Irlanda.

Che se ne dice in Italia? Nulla a livello istituzionale, rimasto fermo al veto del 2009 quando l’allora Dipartimento Politiche Antidroga bandì le stanze dallo stesso vocabolario, come l’analisi delle sostanze e l’eroina medica, per puro slancio ideologico.

Molto a livello di associazioni e consumatori, che già nei primi anni 2000 attivarono azioni di advocacy in questo senso, arrivando molto vicino alla meta a Torino, dove nel 2002 il sindaco Chiamparino accettò di istituire una commissione Comune-ASL per valutare l’apertura di una stanza, finendo in un nulla di fatto: pesò un intervento di Livia Turco, allora ministra, che ne sostenne l’illegalità secondo la legge vigente. Cosa non vera: nelle stanze non si manipola e tanto meno si gestisce la sostanza, che è in mano ai singoli consumatori, ma si sovrintende soltanto all’uso igienico e corretto, si informa e si forma ad un uso più sicuro.

La legge non vietava e non vieta di creare un servizio per prevenire overdose e altri danni, qualsiasi attento giurista può confermarlo. Oggi la questione è di nuovo sul tavolo, tra gli obiettivi del «Cartello di Genova», e chissà se la stagione della ragionevolezza che sembra aver aperto qualche spiraglio innovatore nel confronto tra società civile, associazioni, movimento per la riduzione del danno e DPA saprà portare anche l’Italia in Europa, rivalutando un approccio pragmatico, attento in modo bilanciato ai bisogni di consumatori, popolazione e salute pubblica.

* vedi il dossier sulla storia delle stanze del consumo in Italia su www.fuoriluogo.it