«Quelli della mia generazione non sanno cosa vuol dire avere una busta paga di mille euro, un lavoro in regola, un contratto a tempo indeterminato, poter accedere a un finanziamento, comprarsi la macchina, fare un mutuo, andare a vivere da soli, avere la tredicesima, le ferie, il tfr…» A dire queste cose è un giovane che compare in Italy in a Day, il film collettivo curato da Gabriele Salvatores, in onda questa sera su Raitre. Quello di questo giovane che senza enfasi elenca il vuoto lavorativo che rischia di strangolare un’intera generazione è solo un tassello dell’immenso mosaico del film, uno dei 44197 video girati con ogni mezzo che gli italiani hanno realizzato il 26 ottobre dello scorso anno, inviandoli poi per essere eventualmente selezionati e utilizzati nel documentario.

Le oltre 2200 ore iniziali sono state prosciugate a meno di un’ora e mezza, utilizzando poco più di 600 video. Un lavoro immane affidato all’inizio agli studenti del Naba e della scuola di cinema di Milano che hanno schedato tutto il materiale sino a farlo arrivare nelle mani dei montatori Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti che con Gabriele Salvatores hanno dato concretezza al progetto. Progetto nato quando Ridley Scott attraverso la sua società di produzione Scott Free decise di realizzare Life in a Day, il primo social movie della storia. Per 24 ore, il 24 luglio 2010, gli utenti di You Tube ebbero la possibilità di girare qualcosa con qualsiasi mezzo elettronico per poi inviarlo alla produzione. Il risultato furono 80mila video per oltre 5mila ore di riprese provenienti da 140 paesi.

Affidati poi al regista Kevin Macdonald sono diventati un film di 96 minuti che venne presentato in anteprima al Sundance nel gennaio successivo, poi al festival di Berlino. Al progetto mondiale sono poi seguiti ipotesi più localizzate come Britain in a Day e Japan in a Day. Italy in a Day è stata realizzata da Indiana Productions con Rai Cinema in associazione con Scott Free. Il lavoro produttivo è iniziato molto prima di quel 26 ottobre, non solo perché bisognava far sapere, ma perché c’erano alcune cose che si dovevano chiudere in anticipo. Per esempio le riprese all’interno delle carceri che richiedono autorizzazioni. La produzione ha preso accordi in tal senso, lasciando poi diverse telecamere a diversi detenuti in questa occasione liberi di riprendere quel che a loro sembrava più opportuno.

Analogo lavoro è stato fatto per le riprese all’interno degli ospedali. E, ovviamente, per ottenere le inconsuete riprese spaziali di Luca Parmitano, l’astronauta italiano che quel sabato era a bordo di una navicella e ha potuto vedere ben 16 albe e 16 tramonti. Sono stati sollecitati anche alcuni italiani all’estero e il magnifico giovane che naviga sull’oceano Atlantico verso l’America a bordo di un cargo stracolmo di container (una delle poche presenze ricorrenti). Salvatores ha deciso di seguire come filo narrativo quello temporale, da una mezzanotte all’altra, seguendo i ritmi di ognuno, anche contrapposti, chi vuole stare sotto le coperte e chi invece fa training autogeno sul balcone, chi si chiama fuori e chi vuole essere dentro, mamme scontrose che scoppiano in lacrime quando scoprono che diventeranno nonne, mamme che imparano il cinese per poter dire «giovane, italiano, laureato, disoccupato» quando i figli andranno a fare i badanti laggiù, mamme anziane che ormai non riconoscono più i propri figli ma li baciano ugualmente come fossero angeli, mamme che coccolano le proprie bimbe e che hanno scritto alla produzione ringraziando per un po’ di serenità in un quadro poco edificante, che si concretizza con un lavoro in un call center nonostante due lauree conseguite. Non c’è protesta, si accenna alla terra dei fuochi, alla paternità delle coppie gay, c’è un momento terribile quando un testimone di giustizia di Palmi racconta la sua giornata, confinata in 20 passi perché lui è «una persona che ha scelto di essere libero, di respirare il fresco profumo di libertà e rifiutare il puzzo del compromesso morale», perché ribellarsi alla malavita organizzata implica dover pagare un prezzo individuale molto alto. Così come colpisce e strazia l’anziano pensionato che dopo essere andato a riprendersi in mansarda per non disturbare dice «un altro giorno di solitudine, di silenzi, mi sento inutile».

Si può discutere quel che c’è e quello che non c’è, ma Salvatores ha ribadito che il film è il risultato di quel che è arrivato, senza forzature, rispettando l’equilibrio e gli argomenti dei materiali. Alla fine il quadro del paese è abbastanza preciso, una sorta di «censimento delle emozioni» che affiorano, né ottimiste né pessimiste, né urlate né rassegnate, ci sono momenti decisamente buffi, dai genitori che salutano via skype, al ragazzo che a letto chiede di poter continuare a leggere, a quelli commoventi legati a malattie e tristezze, ma alla fine sembra emergere una qualche voglia tutta italiana di trovare il filo che possa avere uno sbocco, che possa condurci verso un futuro, nella speranza che esista ancora. Ecco, mentre in tv assistiamo troppo spesso a liti politiche e private a momenti urlati e spettacoli miserabili questa sera potremo vedere «Un giorno da italiani qualsiasi», quelli che hanno imparato a giocare a solitario su un tablet nonostante l’età avanzata e quelli felicemente sconvolti perché diventano genitori, oscurando una volta tanto i presenzialisti del video.