Con gli occhi del mondo puntati sul mare a sud di Creta c’è poco tempo per seguire gli affari interni egiziani. Eppure, nonostante l’Airbus sia il principale tema per i media nazionali, la campagna di repressione prosegue implacabile. Sabato al consulente della famiglia Regeni, Ahmed Abdallah, direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, è stato allungato per la terza volta l’ordine di detenzione: altri 15 giorni in carcere. Abdallah è stato arrestato il 25 aprile con altri 1.270 egiziani con l’accusa di incitamento alle proteste.

La scorsa settimana con un processo-farsa la magistratura del Cairo, in 10 minuti, ha condannato 152 di loro a pene tra i 2 e i 5 anni di detenzione. Il mai sopito spirito di piazza Tahrir ha già reagito: 22 detenuti hanno lanciato 5 giorni fa uno sciopero della fame di massa per protestare contro le sentenze. Ne seguiranno, in questi giorni, altri 25. Stomaci vuoti per avere giustizia.

A sostenerli sono 11 organizzazioni egiziane che scaricano la responsabilità dello sciopero sul Ministero degli Interni, mano che muove la repressione della società civile. Le prime conseguenze si sono già registrate: tre prigionieri sono stati ricoverati in ospedale, riporta Misr Abdel-Wahed, la sorella di uno di loro. E ieri il sindacato dei medici ha chiesto al procuratore generale Sadek di ricoverarli tutti, visto il deteriorarsi delle loro condizioni di salute.

Il timore è che l’attenzione sui detenuti cali con media e opinione pubblica risucchiati dalla terribile vicenda dell’Airbus della EgyptAir e dalla storica visita di papa Francesco al grande imam di al-Azhar, la più importante figura religiosa sunnita nel paese: ieri un abbraccio ha posto fine a 5 anni di rapporti congelati.

Le indagini sull’aereo intanto proseguono. Mancando rivendicazioni da parte di gruppi terroristici, la pista dell’attentato viene battuta sempre meno. Di certezze non ce ne sono, seppure spuntino nuovi elementi. Domenica l’Egitto ha inviato un sottomarino alla ricerca dell’Airbus scomparso nel mar Mediterraneo giovedì scorso e della scatola nera, in acque profonde fino a 3mila metri. Ad annunciarlo è lo stesso presidente egiziano al-Sisi, che aggiunge di non avere elementi che facciano propendere per un’ipotesi o l’altra.

Ma la Francia aggiunge un tassello: dall’aereo sono partiti segnali d’emergenza prima dello schianto. Secondo la Bea, agenzia francese che investiga sull’incidente, il pilota dell’Airbus avrebbe richiesto ai controllori del traffico aereo del Cairo un atterraggio di emergenza dopo l’incendio sviluppatosi all’interno del veivolo. Per questo il pilota avrebbe dovuto compiere una discesa rapida.

Un’ipotesi che smentirebbe le autorità egiziane che negano di aver ricevuto Sos: a rigettare come false le dichiarazioni francesi è Mohi el-Din Azmi, presidente della National Air Navigation Services Company. «Non è vero – ha aggiunto un funzionario anonimo della EgyptAir – Il pilota non ha contattato l’Egitto prima dell’incidente».