Non è una situazione da pre-dittatura, come da iperbole firmata Daniela Santanchè, ma certo la prima condanna al carcere della storia italiana per il reato di vilipendio al capo dello Stato non è una bella notizia. Il condannato è Francesco Storace, ex governatore del Lazio, ex ministro della Sanità, oggi leader della Destra. Non andrà in carcere, dal momento che la pena è sospesa. Sempre che il condannato non dia seguito a quanto più volte affermato, cioè di voler rinunciare in caso di condanna alla sospensione della pena in attesa dell’appello e della sentenza di Cassazione. Dopo la sentenza, ha ricordato di essere «l’unico italiano condannato per questo reato». Poi ha twittato un fotomontaggio con se stesso e il vilipeso: «Sarà contento lui». Però ha anche ripetuto di non essere contrario al ricorso in appello, già annunciato invece dai suoi avvocati.
I fatti risalgono al 2007. Il governo Prodi si reggeva su una manciata di voti, al Senato, e spesso era determinante l’intervento dei senatori a vita, tra i quali Rita Levi Montalcini. Storace la definì «una stampella», Napolitano s’indignò e l’accusò di «indegnità», Storace replicò a stretto giro: «Indegno sarà semmai il capo dello Stato. Per palese e nepotistica condizione familiare, per evidente faziosità istituzionale è indegno della carica». Nulla che possa essere neppure lontanamente paragonato al diluvio di accuse piovuto da ogni dove su Francesco Cossiga ai tempi della sua picconatrice presidenza della Repubblica, tanto più che Storace si era anche scusato personalmente con l’offeso. Tuttavia il giudice monocratico Laura D’Alessandro ha ravvisato «espressioni pesanti, insultanti e aggressive perché offendono l’istituzione che rappresenta l’unità d’Italia». Una sentenza, e una motivazione, che non c’è bisogno di commentare.
Tutte le anime dell’ex Pdl, pur con accenti sensibilmente diversi, criticano severamente l’assurda sentenza. Alessandra Mussolini, ex rivale di Storace e ora sua compagna di partito si affida, via twitter, al più celebre slogan neofascista: «Boia chi molla». Tutti gli altri sono più misurati, anche se non meno netti. Si scagliano giustamente contro i reati di opinione e chiedono, con Fitto, un intervento del Parlamento. Imbarazzante, forse qualcosa di peggio, il silenzio della sinistra e in particolare del Pd (con pochissime eccezioni e non di primo piano).
Lo rompono in pochissimi. Il vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, Sel, è tra questi: «Storace condannato per reato anacronistico e fuori dalla storia». Anche Manconi non risparmia critiche: «Reato balordo e che da tempo doveva essere abolito». Però si sente in dovere di «evidenziare l’astio che Storace ancora riserva a Napolitano». Cosa c’azzecchi è oscuro, anche perché non è che Napolitano si sia speso anche solo un po’ per evitare una condanna vergognosa sulla base di un reato d’opinione.
Il Pd, in realtà, si è invece speso con vigore: per evitare che il reato venisse abolito. La presidente della commissione Affari costituzionali Finocchiaro e il capogruppo Pd Zanda, informano Storace e Gasparri, hanno infatti bloccato la proposta di legge, presentata dallo stesso Gasparri, per abolire l’arcaica fattispecie di reato.