Almeno ottantasei vittime e 186 feriti raccontano una strage. La terza in quattro mesi a dilaniare la Turchia. E tutto questo solo per un calcolo politico: il voto del prossimo novembre. Ma in verità c’è qualcosa di più. Il sostegno che le autorità turche hanno assicurato ai jihadisti di Isis in Siria è chiaramente sfuggito loro di mano. Ora i terroristi che sono in Turchia possono fare quello che vogliono: anche colpire nella capitale per vendicarsi dei raid russi in Siria.

Guardando le immagini della strage di Ankara che sono state censurate dalle autorità turche, insieme a blog, Twitter e Facebook di chi ha provato a diffonderle (sono mesi che i kurdi denunciano le policy filo-Ankara dei grandi social network), torniamo al cinque giugno scorso quando eravamo al grande comizio del leader carismatico della sinistra filo-kurda (Hdp), Salahettin Demirtas, e due bombe sono esplose a pochi metri da noi uccidendo quattro persone nel quartiere Stadio.

La logica era quella criminale del duplice attentato per colpire il più alto numero di persone possibile che restano spesso coinvolte dalla seconda esplosione mentre tentano di fuggire. Ad Ankara è successo lo stesso. Scene di panico e sangue dovunque hanno coperto gli striscioni della pace della piattaforma che include Hdp organizzata anche da partiti ed esponenti della società civile a due passi dalla stazione ferroviaria. «Ho sentito una prima grande esplosione e ho cercato di coprirmi mentre le finestre dell’edificio vicino a me andavano in frantumi», ha raccontato un testimone.

«La gente intorno a me gridava e piangeva. Sentivo un inteso odore di fumo», ha aggiunto Ahmet Onen. Bulent Tekdemir, presente al momento delle esplosioni, ha ammesso che la polizia ha immediatamente lanciato gas lacrimogeni e non «ha permesso alle ambulanze di raccogliere i primi feriti». Il premier Ahmet Davutoglu ha parlato di «indizi seri» a carico di due kamikaze. E così anche quest’occasione è servita per continuare a censurare i media.

Dopo l’aggressione ad Ahmed Hakan, il noto giornalista di Hurriyet colpito da sostenitori di Akp, lo scorso venerdì. Bulent Kenes, direttore del giornale di opposizione Zaman, è stato arrestato per un tweet critico nei confronti di Erdogan. Anche l’ex presidente Abdullah Gul aveva denunciato la pressione che gli islamisti moderati stanno esercitando sui media turchi. La richiesta dei manifestanti di Ankara era anche di mettere fine alle violenze e agli attacchi contro il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), avviati lo scorso 24 luglio in una campagna ufficialmente anti-Isis, che ha invece provocato centinaia di vittime tra i kurdi in Turchia e Iraq. Il partito di Ocalan in una nota ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale in vista del voto. Adducendo ragioni di sicurezza, la Commissione elettorale aveva proceduto a contestate revisioni nella distribuzione dei seggi che renderanno più difficile per i kurdi delle città dove vige il coprifuoco di recarsi alle urne.

Erdogan ha strappato i dieci punti della dichiarazione di Dolmabahce, annunciata alla vigilia del voto di giugno, che voleva mettere fine al conflitto tra Ankara e Pkk e chiudere la stagione della lotta armata. Puntando su continue provocazioni, il partito di Erdogan è arrivato alle parlamentari della scorsa estate in un’atmosfera incandescente che è andata avanti per mesi in seguito al fallimento dei colloqui per la formazione di un governo di unità nazionale.

Il tentativo è deragliato per la manifesta avversione a qualsiasi compromesso di Akp, come confermato dal leader del partito repubblicano (Chp), il kemalista Kilicdaroglu. «Un grande massacro», ha definito il leader di Hdp, Demirtas, il duplice attacco di ieri. Il politico che ha portato per la prima volta la sinistra filo-kurda in parlamento non ha dubbi: «Il partito di Erdogan ha le mani sporche di sangue». «Alcuni poliziotti hanno attaccato chi soccorreva i feriti e le vittime», ha aggiunto. Solo poche settimane fa, decine di sedi di Hdp sono state date alle fiamme da sostenitori di Akp. «Ci vogliono far tacere, ma noi continueremo la nostra lotta pacifica», ha concluso il politico.

In Turchia è in corso una tempesta perfetta che apre la strada al terrorismo islamista, come è avvenuto con gli attacchi al Consolato Usa della scorsa estate. Erdogan è sempre più isolato. Da una parte, Washington ha assicurato con non poche remore il suo supporto al piano per la formazione di safe-zone turche in Siria, dall’altra, Mosca, violando lo spazio aereo turco con i recenti raid in territorio siriano, ha mostrato una certa disaffezione per le ambigue politiche degli islamisti moderati turchi nei confronti dello Stato islamico. Dopo l’attentato di ieri, le autorità russe hanno subito richiamato Ankara alle sue responsabilità chiedendo di «consolidare gli sforzi per combattere il terrorismo e abbandonare interessi opportunistici». Un chiaro riferimento al sostegno di Akp ai jihadisti e contro i raid russi in Siria.

Tutto questo mentre sale la tensione per i respingimenti di profughi siriani che raggiungono la Turchia sia per stabilirsi (quasi due milioni di siriani vivono in Turchia in seguito alla guerra civile) sia per andare in Europa. Il tentativo di conquistare il voto degli ultranazionalisti ha spinto Erdogan anche a trovare un accordo con l’Ue con un piano di azione congiunto che di fatto permetterà ad Ankara di respingere i profughi e sigillare le frontiere come sta già facendo.