Martin Sanchez Garcia, Jorge Antonio Tizapa… I nomi dei 43 studenti «normalistas» scomparsi in Messico il 26 settembre fanno il giro del paese e quello della rete, accompagnati dalla solidarietà e dall’indignazione per il massacro di Iguala. Quel giorno, una protesta degli studenti contro la privatizzazione della scuola pubblica è stata ferocemente repressa dall’azione congiunta di polizia e bande criminali appartenenti ai Guerreros Unidos.

A due diverse riprese sono stati attaccati sia i pullman che trasportavano gli studenti che quelli che riportavano a casa dei calciatori dopo la partita. Risultato, 6 ragazzi morti (uno dei quali con segni evidenti di tortura) oltre una ventina di feriti, e 58 studenti scomparsi. Alcuni di loro sono poi tornati a casa, si erano nascosti per sfuggire alla morte, ma per gli altri 43 si cerca ancora. A seguito delle confessioni di alcuni paramilitari e delle telecamere della zona, si è appurato che la polizia ha consegnato un gruppo di 17 studenti ai Guerreros unidos, che li hanno uccisi e bruciati. I loro resti, però, non sono fra quelli ritrovati in diverse fosse comuni. Ma sull’ultima si indaga ancora. Nel frattempo, è ricercato il sindaco di Iguala ed è stato nominato un nuovo governatore a interim del Guerrero e le speranze di ritrovare in vita gli studenti scomparsi si affievoliscono.

«Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo» ha gridato tuttavia all’unisono la Conferenza mondiale dell’Associazione internazionale Lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersessuali che si è aperta a Città del Messico e alla quale partecipano rappresentanti dei cinque continenti. Nella capitale e a Coahuila è consentito il matrimonio ugualitario, mentre in altre parti del paese occorre un pronunciamento giuridico. Un funzionario del governo, presente alla 27ma conferenza ha fatto un po’ di retorica sui diritti umani, ma senza citare la scuola rurale di Ayotzinapa e i suoi 43 studenti sequestrati.

Ma la mobilitazione contro «il crimine di stato» cresce e crea parecchio imbarazzo al governo neoliberista di Enrique Pena Nieto. I «normalistas» del Chiapas hanno occupato il municipio di San Cristobal.

I sindacati dell’Union Nacional de Trabajadores (Unt) e quelli di altre categorie (pescatori, lavoratori universitari, elettricisti e quelli delle telecomunicazioni) hanno sfilato con gli studenti e con i familiari degli scomparsi, che chiedono conti al governo.

Con loro, anche l’Organizzazione dei lavoratori agricoli frontalieri, il cui delegato, Carlos Marentes, ha denunciato «il terrorismo di stato» durante l’Incontro mondiale dei movimenti popolari, che si è svolto a Roma.

«La situazione in Messico continua a deteriorarsi fino al grado estremo della violenza – ha detto al manifesto – i 43 studenti sono stati sequestrati dalla polizia, non dai criminali e le fosse comuni che vengono scoperte in tutto lo stato del Guerrero indicano le modalità di uno stato criminale al servizio dei capitali stranieri». Violenza e impunità particolarmente alta alla frontiera con gli Usa, dove transitano migliaia di lavoratori «costretti a fuggire da un paese di abusi e miseria.

Negli Usa – ha spiegato ancora Marentes vi sono 4,2 milioni di lavoratori agricoli provenienti dalle nostre regioni che producono 90 mila milioni di dollari di guadagno con il loro supersfruttamento, perché siccome provengono da un paese in rovina accettano qualunque paga e condizioni di lavoro.

La tanto decantata democrazia Usa non concede loro il diritto democratico a organizzarsi in sindacato e per questo noi lottiamo anche per sensibilizzare la società con la campagna Cibo libero da oppressione, perché dietro quello che si mangia, c’è l’oppressione quotidiana dei lavoratori e lo sfruttamento selvaggio della natura». Alla frontiera con gli Usa, oltre alla violenza della polizia, «agisce quella dei fanatici di estrema destra che pattugliano i confini». Per cercare di proteggersi dalla violenza dello stato e delle bande criminali, «nello stato del Guerrero e in altre parti del Messico sono sorte polizie comunitarie organizzate dai cittadini. Brigate di autodifesa che vengono criminalizzate, ma se lo stato non ti difende, bisogna prendere in mano la propria difesa».

In una clinica di Reynosa, vicino alla frontiera col Texas, lavorava anche la dottoressa Maria del Rosario Fuentes Rubio, la blogger assassinata undici giorni fa per aver diffuso casi di violenza nello stato di Tamaulipas. Ieri, Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, ha chiesto spiegazioni «urgenti» al governo messicano sulla sua uccisione. E domani la Corte interamericana per i diritti umani ha chiamato a deporre le autorità messicane sul massacro di Iguala. Anche la Casa Bianca ha definito «preoccupante» il caso degli studenti scomparsi.