Programma più ricco che mai quest’anno alla trentesima edizione del Cinema Ritrovato realizzata dalla Cineteca di Bologna. Con una direzione inversa rispetto alla monosala del programma delle Giornate del cinema muto di Pordenone, che ci tengono a rendere visibile tutto a tutti i partecipanti. Qui ogni spettatore deve tradurre la visibilità virtuale sui quattro schermi in contemporanea, con poche repliche (più due spazi serali all’aperto e l’auditorium incontri) nella visibilità concreta dei percorsi che si costruisce. Il che diventa un po’ più facile per quanti, senza sentirsi arretrati ma semmai lungimiranti, optano di preferenza per le copie proiettate in pellicola, considerando il digitale un benemerito strumento introduttivo a future proiezioni analogiche. Ecco dunque che, pur avendo sempre desiderato una personale completa Jacques Becker, l’accantoneremo per stavolta trattandosi di un tutto digitale. Vi sono invece alcune proiezioni in DCP che resteranno un must per conoscere dei territori cinematografici ancora da esplorare.

Ma anche se non fosse per la loro meritoria scelta di offrirsi del tutto (o ogniqualvolta possibile) a 35mm, non abbiamo dubbi di considerare in particolare alcune sezioni del programma letteralmente imperdibili.

L’anno scorso ci occupammo con il dovuto entusiasmo della rassegna del cinema iraniano nell’epoca di transizione dal regime pahlavista a quello khomeinista. Il film di Sahid Saless visto in quell’occasione (e che non potemmo che includere nel Top Ten di fine anno su questo inserto) si è rivelato un capolavoro massimo di tutta la storia mondiale del cinema. Quest’anno il curatore Ehsan Khoshbakht rilancia realizzando quella che consideriamo la scelta più importante tra tutti i festival internazionali dell’anno. Verrà a Bologna Ebrahim Golestan, regista e produttore del cinema iraniano degli anni ’60, presto (prima di Khomeini) emigrato in Gran Bretagna, e lì rimastovi sostanzialmente inattivo. Della sua opera conosciamo sin qui solo il corto Yek atash (Un fuoco) più il successivo Khaneh siah ast (La casa è nera) che egli produsse per la regia dell’amata Forugh Farrokhzad, che è stata una delle grandi poetesse persiane del Novecento, tragicamente scomparsa nel 1967 in un incidente stradale. I due film hanno cultori autorevoli come Jonathan Rosenbaum e Bernard Eisenschitz, che ne hanno patrocinato un’edizione in dvd. Ma già il grande Chris Marker scrisse subito splendidamente del film di Forugh, che all’epoca fu presentato al capitale festival di Oberhausen. Quando lo vidi solo molti anni dopo (in un mondo da tempo privo di Forugh) non potei che eleggerlo a massimo capolavoro, includendolo anche nella Top Ten di tutti i tempi di «Sight and Sound». La voce fuori campo di Forugh nel film è tra le più belle mai udite; anche senza purtroppo conoscere il farsi, percepiamo lo splendore poetico dei testi che legge, e sentiamo nella sua voce una matericità vitale che abbraccia i destini dei malati di lebbra del film. Forugh Farrokhzad è tra le massime incarnazioni di ciò che Dreyer ha deciso come fondo del cinema, l’inacettabilità della morte. Forugh è con la russa Larisa Sepitko e la giapponese Kinuyo Tanaka (intendiamo la ristretta opera registica di costei in una pur tutta grande attività d’attrice) la triade di sguardi femminili del cinema che lo rendono veramente indispensabile. Finalmente a Bologna il film si potrà vedere in una copia in pellicola del CNC, e riteniamo che questa sola proiezione di 21 minuti meriti un pellegrinaggio a Bologna. Forugh purtroppo non ha realizzato molto altro per il cinema, ha scritto invece delle poesie che anche in traduzione restano sublimi; consiglierei di leggerle (esiste purtroppo solo un’edizione in inglese della sua opera completa) ascoltando contemporamente il CD con la sua voce che le legge. Anche Abbas Kiarostami è suo ammiratore, anche se qui va detto che il pur grande cinema iraniano postrivoluzionario non ha mai toccato il livello di universale bellezza dei film di Sahid Saless e Forugh Farrokhzad.

Per un certo periodo Forugh Farrokhzad è stata anche in Italia, ha incontrato i Bertolucci; e, se non sappiamo quanto Attilio ne abbia riconosciuto la grandezza poetica, purtroppo Bernardo ne parla con inspiegabile assenza di passione in un’intervista. A quell’epoca Forugh ha realizzato in Italia qualcosa che spero prima o poi si ritrovi, o in Italia o in Iran, alcune versioni iraniane di film italiani. Ora, provate a immaginare se ci fosse un La ragazza con la valigia di Zurlini doppiato dalla voce di Forugh, diventerebbe subito un vertice inarrivabile di bellezza.

Anche la rassegna di Bologna si scontra con la difficile accessibilità dei film iraniani, e infatti la personale di Golestan si allarga a pochi altri corti e un solo lungo, dovendo rinunciare alle opere posteriori . Il curatore ha non solo il pregio di parlare il farsi ma anche quello di conoscere profondamente la cultura iraniana, e di saper vedere la presenza universale della cultura plurisecolare persiana imporsi sulle vicende dei conflitti tra modernizzazione e teocrazia che hanno segnato il Novecento: ma determinati, va detto, da ragioni sociali di classe, che hanno deciso l’affermazione di Khomeini e poi quella di Ahmadinejad, e di cui ben farebbero a tener conto Rohani e altri. Forse solo così, rispetto a immagini recenti di bellissime donne iraniane che delimitano i veli subiti, si potrà arrivare a uno svelamento non segnato da una modernizzazione selvaggia come quella pahlavista (o altrove kemalista). Nell’attesa, come dimenticare che in un Kiarostami c’è una delle punte hard del cinema, l’insert di una bocca femminile che spalanca le labbra segnate dal rossetto? Ma un ritorno alla presenza di Forugh risulterà oggi ancora più flagrante, quando la vedremo attrice nell’unico lungometraggio di Golestan che qui si potrà proiettare almeno digitalizzato.

Con al centro la rassegna di Ebrahim Golestan, alla sua presenza, a Bologna sarà imperdibile la seconda puntata del programma sul cinema sovietico del disgelo, ancora curata da Peter Bagrov e Olaf Möller, e su cui (tutta a 35mm) torneremo dopo le visioni. Spiccano inoltre la personale di Marie Epstein, la rassegna del cinema argentino con la collaborazione di Edgardo Cozarinsky, il film di Stiller tratto dal Michael di cui poi Dreyer realizzerà una versione ulteriore, alcuni Augusto Genina ritrovati, i film del russo prerivoluzionario Evgenij Bauer, gli Universal, la prima Stella Dallas di Henry King, un Allan Dwan muto, il ricordo di João Bénard da Costa da parte di José Manuel Costa, e tanto, tantissimo altro, di cui cercheremo di vedere il più possibile. Ma immaginiamo la sofferenza di chi vorrà seguire anche i campionati di calcio, che in più occasioni sono stati a Bologna un vero festival parallelo. Per fortuna noi avremo la cometa Forugh a guidarci, per sognare la possibilità di conoscerla in vita, come il testimone Golestan ebbe il dono e il dolore massimi di provare.