Ieri mattina la reazione della Corte suprema indiana ha portato al ritiro di entrambe le istanze avanzate dai legali dei due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che chiedevano un rilassamento del regime di libertà provvisoria del quale i due militari godono dal gennaio 2013.
Le richieste formulate dalla difesa si appoggiavano su basi «umanitarie» differenti per i due sottufficiali indagati per l’omicidio dei pescatori Ajesh Binki e Valentine Jelastine, morti in uno scontro a fuoco tra la petroliera Enrica Lexie e il peschereccio St. Antony nel febbraio del 2012.
Massimiliano Latorre, che aveva sofferto di un attacco ischemico nel mese di settembre, aveva ottenuto dalla Corte il permesso di rientrare in Italia per affrontare il periodo di riabilitazione, licenza che scadrà il prossimo 13 gennaio. Gli avvocati avevano chiesto un’estensione del permesso di altri quattro mesi a fronte di un’operazione cardiaca alla quale Latorre si dovrebbe sottoporre il prossimo 8 gennaio.

Differenti le circostanze di Salvatore Girone, rimasto a New Delhi impiegato all’interno dell’ambasciata italiana della capitale. Secondo i dettagli dell’istanza pubblicati due giorni fa in esclusiva dal quotidiano di Mumbai Dna India, i due figli del fuciliere – un bambino e una bambina – soffrirebbero di una sindrome da stress post traumatico, diagnosi comprovata «indipendentemente e separatamente» da due medici italiani. I due bambini «credono di non poter rivedere mai più il padre e che potrebbe essere condannato alla pena di morte», riporta Dna India.

Un altro stralcio dell’istanza indica che «per il trattamento di cui necessitano i bambini sarebbe d’aiuto se potessero vedere il padre nel proprio ambiente domestico. Non è possibile, per i bambini, recarsi regolarmente in India per vedere il proprio padre, poiché avrebbe conseguenze deleterie per il loro percorso d’istruzione in Italia».

Girone, secondo quanto riportato dalla stampa, non vede i propri figli dallo scorso mese di marzo. Chiedeva di poter fare ritorno in Italia per le vacanze di Natale, per un periodo di tre mesi.

Davanti a questa doppia richiesta di clemenza, il giudice a capo del pool della Corte suprema H.L. Dattu ha replicato specificando che questo tipo di istanze «non vengono prese in considerazione in nessuna parte del mondo» e che «anche le vittime indiane hanno i propri diritti». Essendo le indagini ancora in corso e mancando tuttora la formulazione dei capi d’accusa, la Corte ha ritenuto non ci fossero gli estremi per accordare un’ennesima licenza ai due marò. Prima che la Corte potesse rifiutare ufficialmente le istanze, i legali dei marò hanno preferito ritirare le richieste.

Il giudice Dattu ha richiesto ai legali di assicurarsi che Latorre faccia ritorno in India, come da accordi, entro il prossimo 13 gennaio.

Dopo oltre mille giorni di fermo all’interno del territorio indiano, intervallati da due licenze per il Natale del 2012 e le elezioni politiche italiane del 2013 – più una aggiuntiva per motivi medici per Latorre nel settembre di quest’anno – i due sottufficiali sono ancora in attesa che i diversi nodi legali siano sciolti dalle autorità giudiziarie.

Prima di tutto, la Corte deve pronunciarsi sulla liceità della polizia federale antiterrorismo National Investigation Agency (Nia) di concludere e presentare il risultato delle indagini in sede legale. La difesa italiana aveva contestato l’intervento della Nia poiché era stata provata l’inapplicabilità della legge antiterrorismo che avrebbe comportato, contro la prassi giuridica indiana per casi come questo, il rischio della pena di morte. L’udienza relativa questa decisione, in attesa che sia la Nia che il governo indiano presentino le rispettive posizioni in sede legale, è stata rinviata al prossimo mese di marzo.

In seguito, i giudici indiani dovranno esprimersi definitivamente circa la contestazione dell’Italia rispetto alla giurisdizione esclusiva indiana. Ovvero, al momento Roma difende il proprio diritto di giudicare esponenti delle forze armate italiane in territorio italiano, rifacendosi al principio dell’immunità funzionale: i marò, a bordo della petroliera privata Enrica Lexie, secondo l’Italia erano a tutti gli effetti militari al servizio del proprio paese, quindi soggetti alle leggi italiane.
Diversa l’opinione dell’India, che contesta l’immunità funzionale considerando il servizio antipirateria svolto dai marò a bordo di una nave civile un’attività di tipo privato, non a difesa dello Stato (e non, ovviamente, un’azione di guerra).

La scelta di ritirare le istanze prima del rifiuto ufficiale della Corte lascia aperta l’ipotesi di un ripensamento dell’ultimo momento almeno per quanto riguarda la situazione di Massimiliano Latorre. Il governo indiano, a settembre, non si era opposto al rientro in Italia del fuciliere per motivi di salute ed è quindi ipotizzabile che i legali possano ripresentare una nuova istanza rafforzata da ulteriori pareri medici dal 5 gennaio, quando la Corte suprema avrà ripreso i lavori dopo le vacanze di Natale.

Appresa la notizia, Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) ha accusato il governo Renzi di «farsi deridere dall’India mentre Onu, Ue e Nato fanno finta di niente. Che vergogna». Dello stesso tenore le dichiarazioni di Raffaele Fitto, eurodeputato di Forza Italia, che su Twitter scrive: «Anche governo Renzi si fa prendere in giro da India. Situazione intollerabile. Vinciamo medaglia olimpica di mancanza di dignità nazionale».

Nicola Latorre (Partito Democratico) interpreta lo stop a un prolungamento delle licenze dei marò come un «colpo durissimo» alla possibilità di concludere la vicenda per via diplomatica, speranza che si era alimentata in seguito al colloquio telefonico tra Matteo Renzi e il primo ministro indiano Narendra Modi.

Dura Roberta Pinotti, ministro della Difesa: «Reagiremo», ha assicurato. Aggiungendo che Latorre «non può che restare in Italia per curarsi». Anche il presidente Giorgio Napolitano, in un comunicato, si è detto «fortemente contrariato» dagli ultimi sviluppi del caso.