Botta e risposta tra Donald Trump e Enrique Peña Nieto, presidente del Messico, sulla costruzione del muro alla frontiera. A una settimana dall’assunzione d’incarico, il presidente Usa ha messo le cose in chiaro: per lui, «il Messico pagherà per il muro», sia con le tasse che con rimborso diretto. Senza malanimo e anzi con qualche lisciata di pelo a colpi di superlativi: «Amo il popolo messicano, è stupendo, ho molta gente del Messico che lavora per me. Il governo messicano è stupendo, non lo incolpo per quanto è accaduto, per avere un vantaggio sugli Stati uniti, solo che non avrebbe dovuto accadere, e non accadrà più», ha detto Trump parlando con i giornalisti anche del Trattato di libero commercio.

HA INOLTRE precisato che non intende «aspettare un anno e mezzo per fare un accordo col Messico» e che intende agire con urgenza.

LA REPLICA del suo omologo messicano è apparsa altrettanto perentoria: per il muro che Trump vuole costruire lungo il confine meridionale per fermare l’immigrazione illegale (ha promesso di deportare 3 milioni di immigrati appena assume l’incarico), il suo paese non ha «assolutamente intenzione di pagare».

PER L’OCCASIONE, Nieto – che sta svendendo il paese pezzo per pezzo al grande capitale internazionale – ha persino difeso l’orgoglio nazionale e la «dignità dei messicani», aggiungendo che «principi fondamentali quali la nostra sovranità non sono negoziabili». Di più, nel tavolo delle trattative, gli Usa devono includere anche «l’impegno a fermare il flusso illegale di armi e denaro» proveniente dagli Stati uniti.

DOPO IL DISCORSO di Trump, mentre il dollaro schizzava, il peso messicano è ulteriormente sceso, toccando un nuovo record negativo: il dollaro interbancario si è venduto a 22,30 pesos. Una discesa che aumenta con l’approssimarsi del 20 gennaio. Nei primi giorni del 2017, il peso ha registrato ben tre record negativi rispetto al dollaro, figurando come la seconda moneta più colpita al mondo dopo la lira turca.

NIETO ha assicurato che, a partire dal 20 gennaio, il mondo vedrà un Messico che «con audacia e pragmatismo» saprà modernizzare la relazione con gli Usa. Una linea anticipata dal suo ministro degli Esteri, Luis Videgaray, che aveva preparato la visita di Trump durante la sua campagna elettorale.

INTANTO, gran parte del paese contesta le scelte neoliberiste del governo messicano e chiede la cacciata di Nieto (oltre il 74% lo rifiuta). L’aumento della benzina ha provocato saccheggi e blocchi stradali a cui il governo ha risposto presentando alcuni correttivi, che però non intaccheranno la riforma energetica, né aumenteranno il potere d’acquisto di quei 55,3 milioni che vivono in povertà.

«IL POPOLO è infuriato – ha detto il vescovo di San Cristobal de las Casas, Felipe Arizmendi – perché vede quanto il governo spende in pubblicità ufficiale, quanto guadagnano deputati, senatori, ministri, magistrati della Corte suprema e altri funzionari pubblici, quanta corruzione e impunità si scopre nella pubblica amministrazione e non ha altra strada che quella di protestare». E mentre Nieto ha deciso che 1.500 auto amministrative dovranno fermarsi un giorno alla settimana, le organizzazioni popolari hanno annunciato per il 21 altre manifestazioni e proteste anche davanti al Parlamento.

E INTANTO, il 45esimo presidente Usa – il più ricco finora eletto – ha lodato la decisione di Ford Motor che, il 3 gennaio scorso, ha annunciato di non volere più investire 1,6 miliardi di dollari nella costruzione di una nuova fabbrica in Messico e che, secondo Trump, «si sposterà in Michigan e amplierà in modo sostanziale un impianto esistente». Trump ha invitato General Motors e altre grandi firme a seguire la stessa linea.