Un Bashar Assad raggiante ieri ha detto di considerare la riconquista dell’intera Aleppo da parte delle forze armate governative, uno sviluppo che «fa la storia». «Quello che sta accadendo è la più grande delle congratulazioni», ha aggiunto. La soddisfazione del presidente siriano non sorprende. La resa e l’evacuazione dei miliziani qaedisti e jihadisti dalla zona orientale di Aleppo e la vittoria dell’esercito e delle formazioni sciite alleate, gli offrono un enorme vantaggio militare. E che la situazione sia favorevole lo indica anche il cambio dollaro-dinaro siriano. Nonostante l’economia resti in forte difficoltà, la valuta siriana si è rafforzata negli ultimi giorni sull’onda dei successi militari dopo aver, per anni, perduto progressivamente terreno nei confronti del biglietto verde. Una inversione di tendenza frutto della fiducia della popolazione, o meglio di quella che vive nelle zone sotto il controllo del governo, nella ritrovata solidità del presidente e del suo esecutivo.

Nelle mani di Assad c’è l’inerzia della partita che da cinque anni si gioca in Siria e che ha fatto centinaia di migliaia di morti, molti dei quali civili. Damasco, Homs, Aleppo e gli altri più importanti centri abitati sono sotto il controllo governativo e l’esercito può ora spostare su altri fronti di guerra: a Ghoutha a est della capitale, nel sud verso Deraa e a nord ovest contro il Jaish al Fateh, la coalizione di forze islamiste e jihadiste guidate dal Fronte an Nusra che da oltre un anno controlla la provincia di Idlib.

La macchina militare agli ordini del presidente siriano è decisamente più efficiente rispetto agli anni passati ma è fondamentale anche l’appoggio che le truppe regolari ricevono da migliaia di combattenti sciiti libanesi, iraniani, pakistani e afghani e dalla milizia popolare filo governativa. Pare che alla base del successo dell’offensiva ad Aleppo Est e del crollo avvenuto nel giro di pochi giorni delle linee di difesa dei “ribelli”, ci sia anche una operazione di intelligence ben studiata e realizzata. A dirlo è il sito Zaman al Wasl, vicino all’opposizione. Sotto la supervisione dei servizi segreti dell’aviazione e del generale Adib Salameh, nei mesi e nelle settimane passate sarebbero stati infiltrati i ranghi degli islamisti, non pochi dei quali, aggiunge Zaman al Wasl, avrebbero poi fornito informazioni decisive durante l’offensiva governativa o si sarebbero arresi quasi senza combattere. E senza alcun dubbio ha avuto un impatto importante la tecnologia avanzata che i russi stanno mettendo a disposizione delle forze armate siriane, a cominciare dall’utilizzo di droni per finire ai sistemi computerizzati di combattimento.

La guerra civile però non è finita e se Bashar Assad con il successo ad Aleppo rafforza la sua posizione, allo stesso tempo le sue forze armate confermano di essere ancora vulnerabili. Lo dimostra la pesante sconfitta subita nei giorni scorsi nell’antica città di Palmira, liberata appena sei mesi fa dalle milizie dello Stato islamico (Isis). A Palmira erano schierati mille tra soldati, miliziani delle Forze di difesa nazionale, uomini dell’11esima divisione e dei reparti speciali “Tigre”. Di fronte alla minaccia di accerchiamento da parte di 5mila militanti dell’Isis, molti dei quali giunti dall’Iraq, le forze governative sono state costrette a ritirarsi e a riorganizzarsi nella periferia occidentale della città subendo forti perdite (oltre 300 morti tra soldati e miliziani alleati sarebbero morti in quattro giorni di combattimenti). Lo Stato islamico ha anche catturato la base aerea di Palmira, il giacimento di gas di Hayyan, il villaggio di Al Dawa e la zona di Al Bayarat.

Sul terreno sono state lasciate armi, munizioni, 44 mezzi blindati, sette veicoli per il trasporto truppe, sette cannoni da 130 mm ed molto equipaggiamento. L’agenzia stampa dell’Isis, Amaq, ha postato in rete dozzine di foto del bottino di guerra, mostrando in particolare immagini del campo usato dai russi. Le armi e i mezzi abbandonati a Palmira serviranno agli uomini del califfato per rilanciare l’offensiva contro le truppe governative sotto assedio a Deir az Zor, nella parte orientale della Siria. In questa zona decisiva per il controllo delle comunicazioni con l’Iraq, lo Stato islamico proverà a puntellare le sue posizioni in vista della caduta, comunque non imminente, di Mosul.