Il paese non è certo uno dei partner più influenti della Ue, ma le elezioni politiche svedesi, in programma oggi, rappresentano un primo test significativo dopo l’onda populista che si è abbattuta sul voto europeo. Ed è proprio dal fronte della destra xenofoba ed euroscettica che potrebbero arrivare le maggiori, e meno gradite sorprese.

Gli Sverigedemokraterna (Democratici Svedesi) – a maggio sono stati la formazione che è cresciuta di più in termini percentuali nel paese, raddoppiando i voti dal 5 al 10% -, oggi sono accreditati dagli ultimi sondaggi intorno al 12% e potrebbero ritagliarsi un ruolo determinante nei futuri equilibri del parlamento di Stoccolma. Alleato di Grillo e dell’Ukip britannico nel gruppo «Europa della Libertà e della Democrazia» a Bruxelles, questo partito di democratico ha in realtà soltanto il nome. Nato nel 1979 da un movimento suprematista bianco chiamato Bevare Sverige Svensk (mantenere la Svezia svedese) e a lungo «ombrello legale» dei gruppi dell’estrema destra, sotto la guida del giovane leader Jimmie Akesson sta cercando di far dimenticare il suo passato, attestandosi comunque su una dura linea anti-immigrati, malgrado ancora di recente abbia dovuto espellere una sua esponente che aveva partecipato a un raduno naziskin e tre suoi deputati siano stati condannati per un’aggressione razzista.

Secondo i maggiori politologi del paese, per quanto sia oggi minacciato dall’apparizione, alla sua destra, del piccolo Svenskarnas Parti (Partito Svedese) che invece non ha rinunciato a un profilo estremista – la Svezia vanta una lunga tradizione neonazista, testimoniata anche di recente dall’aggressione del tifoso di origine iraniana Showan Shattak, ridotto in fin di vita a Malmö, e da numerosi episodi di antisemitismo nella stessa città -, il movimento di Akesson potrebbe trarre profitto da alcuni dei temi che sono diventati centrali in questa campagna elettorale.

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Su tutti, la questione della presenza nel paese dei rifugiati cristiani provenienti dalla Siria e dall’Iraq. Concentrati in alcuni centri della Svezia meridionale, come la cittadina di Södertälje, una trentina di chilometri a sud di Stoccolma dove più di un terzo dei 90mila abitanti sono assiri, il loro numero è destinato inevitabilmente a salire sotto la spinta della tragedia che si sta consumando in quella parte del Medio oriente. Il premier svedese Fredrik Reinfeldt, che guida dal 2006 una coalizione di governo di centrodestra che ha interrotto la lunga egemonia socialdemocratica che durava dagli anni Trenta, ha catalizzato l’attenzione generale dichiarando solo qualche settimana fa che «il paese dovrà farsi carico dell’accoglienza di nuovi profughi provenienti dalle comunità cristiane d’Oriente. So bene che questo provocherà delle tensioni, ma chiedo agli svedesi di aprire il loro cuore». Il tutto, prima di aggiungere, con una certa malizia, che le spese per i rifugiati imporranno dei tagli al bilancio sociale.

La mossa a sorpresa del premier, accusato da parte della stampa locale di fare il gioco dell’estrema destra che già oggi denuncia come in favore degli «stranieri» «si spenda troppo», non è piaciuta a tutti: il quotidiano progressista Dagens Nyheter che l’ha bollata come «demagogica», ha ricordato che a Södertälje, governata dai socialdemocratici, il comune ha accolto tra il 2006 e lo scorso anno 77 rifugiati ogni 1.000 abitanti, mentre a Täby, roccaforte elettorale di Reinfeldt e dei conservatori, nello stesso periodo ci si è fermati a 3 ogni 1.000.

Dato sconfitto nei sondaggi, a favore di un ritorno al potere della coalizione rossoverde guidata dal leader socialdemocratico Stefan Löfven, Reinfeldt potrebbe aver tentato, con questa apertura almeno apparente nei confronti dei rifugiati, di recuperare quelle centinaia di migliaia di elettori indicati ancora come «incerti», su oltre 9 milioni di aventi diritto al voto, che potrebbero alla fine fare la differenza tra destra e sinistra o costringere i progressisti a formare solo un governo di minoranza, debole già al suo nascere.

La mossa del premier conservatore offre però prima di tutto una ulteriore chance all’estrema destra che aveva già speculato sul disagio sociale emerso con le rivolte dello scorso anno nelle periferie, dove vivono molti immigrati, di Stoccolama e Malmö. Il capo dei Democratici Svedesi è così corso a Södertälje per spiegare che i rifugiati dall’Iraq vanno sì aiutati, ma «a casa loro da parte dell’Onu e soprattutto lontani dalla Svezia». Secondo Daniel Poohl, direttore di Expo, la rivista antifascista creata dal giornalista-scrittore Stieg Larsson, «dopo aver garantito una sorta di appoggio silenzioso all’esecutivo conservatore, negli ultimi 5 anni i suoi 20 deputati hanno votato quasi sempre come quelli della maggioranza, gli Sverigedemokraterna si preparano ora a sfidare la destra nella rappresentanza dell’opinione pubblica nazionalista e socialconservatrice, a partire proprio dal tema dei rifugiati». E pensare che un tempo si parlava di «modello svedese».