Missione compiuta. Da ieri il 58enne ex sindacalista Bodo Ramelow è ufficialmente il nuovo governatore della Turingia: il primo esecutivo di un Land guidato da un esponente della Linke, partito socialista e anticapitalista, è finalmente realtà. La risicata maggioranza del parlamento regionale (Landtag) di Erfurt ha tenuto: 46 deputati hanno detto «sì» all’elezione di Ramelow contro i 44 «no» provenienti dai banchi democristiani (Cdu) e della destra eurofoba di Alternative für Deutschland (Afd). La coalizione formata dalla Linke (28,2% alle elezioni di settembre) insieme ai socialdemocratici della Spd (12,4%) e Verdi (5,7%) ha superato la prima, impegnativa, prova. Qualche apprensione c’era, alla vigilia. Nonostante i militanti dei tre partiti si fossero espressi – via referendum interni – a favore dell’accordo, e malgrado l’intesa fosse stata ratificata da congressi ad hoc di ciascuna formazione, ieri mattina nessuno avrebbe potuto escludere del tutto la presenza di franchi tiratori. Aleggiava lo spettro di «malpancisti» socialdemocratici o ecologisti rimasti silenti, ma determinati a far pesare il voto segreto per lanciare un segnale di disagio verso lo sdoganamento della Linke, lontana erede della Sed, il partito-stato della Germania est real-socialista.

Uno spettro che si è materializzato al primo scrutinio, quando a Ramelow è mancato un voto sui 46 di cui disponeva sulla carta. Tensione alle stelle, e molta paura di vedere crollare all’ultimo minuto un lavoro paziente e minuzioso di oltre due mesi: lunghissimi incontri, precisi accordi e un dettagliato programma di governo condiviso dai tre soci (punti-chiave: asili gratuiti, investimenti in energie rinnovabili, assunzioni di docenti, sostegno a profughi e migranti). Alla seconda votazione tutti con il fiato sospeso: se il candidato avesse ancora fallito, i giochi si sarebbero riaperti del tutto. E addio coalizione di sinistra. Invece, per fortuna, questa volta i 46 «sì» a Ramelow sono arrivati tutti. Evidentemente, chi aveva scelto di mettere nell’urna una scheda bianca si riteneva soddisfatto del segnale lanciato, non avendo intenzione di far saltare tutto, ma solo di «avvisare» il neogovernatore che i prossimi anni non saranno una passeggiata. Nulla da fare, quindi, per la Cdu, che fino all’ultimo ha seminato zizzania nelle file di Spd e Verdi, offrendosi come un possibile partner di governo più affidabile e non «contaminato» dal passato dittatoriale.

Giovedì sera alcune migliaia di persone erano scese in piazza per protestare contro «il ritorno dei comunisti»: soprattutto democristiani, ma anche esponenti della Spd a titolo personale. Tutti uniti nel denunciare, in particolare, la presenza di due ex informatori della Stasi (il servizio segreto interno della Ddr) fra i deputati regionali della Linke: Ina Leukefeld e Frank Kuschel. Storia vecchia e arcinota: da tempo i due si sono pubblicamente scusati e hanno fornito spiegazioni (non giustificazioni) del comportamento di trent’anni fa, prendendone le distanze. Difficile, dunque, cucire loro addosso il vestito dei nostalgici: eppure, il loro trascorso pesa ancora, e gli avversari della Linke non perdono occasione per agitarlo come una clava, ignorando consapevolmente la profonda elaborazione del passato compiuta dal partito nato dalla Pds, l’organizzazione che seguì alla trasformazione della Sed. Quell’elaborazione del passato di cui si è avuto ulteriore esempio nel primo discorso pronunciato da Ramelow nella veste di capo dell’esecutivo della Turingia: rivolgendosi direttamente a un suo amico perseguitato dal regime real-socialista, ieri presente nelle tribune del Landtag, il neogovernatore ha chiesto scusa per il male causato dalla Sed. Un gesto simbolicamente forte, compiuto da un uomo nato e cresciuto in Germania ovest, e che dunque non ha alcuna responsabilità, nemmeno indiretta, per i crimini della Ddr.

Incassato il voto del parlamento, Ramelow ha immediatamente nominato il suo gabinetto. La ripartizione dei posti è molto equilibrata, senza posizioni dominanti (e con parità di genere): alla Linke vanno 4 ministri, alla Spd 3 (portafogli che contano: interni, finanze e industria) e 2 ai Grünen. Il messaggio è chiaro: il partito più grande non vuole strafare, perché il risultato politico più grosso che intende portare a casa è mostrare che la coalizione progressista può funzionare bene. Oggi in Turingia e domani nell’intera Germania. Le prossime elezioni federali sono lontanissime (2018), ma chi lavora a quell’obiettivo sa che non ha tempo da perdere. Le resistenze all’interno delle dirigenze di Spd e Verdi sono grandi: ieri i commenti da Berlino erano, non a caso, tutti all’insegna del volare basso. «L’alleanza con la Linke è una questione regionale, il governo nazionale è un’altra cosa» è stato il leit-motiv. Vero: ci sono grosse divergenze in politica estera e sull’Europa, che sul piano locale hanno rilievo minore. Eppure, se la Spd desidera poter esprimere nuovamente il cancelliere, gli attuali rapporti di forza parlano chiaro: l’unica maniera possibile di farlo è formando una coalizione con ecologisti e Linke. Se si votasse domani, la Cdu di Angela Merkel avrebbe il 40%, la Spd il 26%, i Grünen l’11%, la Linke il 9% e la destra populista dell’Afd il 7%.