«La Patria no se vende», ha detto il papa in un messaggio per il Bicentenario dell’Indipendenza argentina. «Una Patria che, nel suo anelito di fratellanza, si proietta ben oltre i limiti del Paese: fino alla Patria Grande di San Martín e Bolívar. Preghiamo – ha ripetuto – per questa Patria Grande: che il Signore la protegga, la faccia più forte, più fraterna e la difenda da ogni tipo di colonizzazione». Un papa «bolivariano», quindi, quello che ieri ha ricevuto a sorpresa in Vaticano Nicolas Maduro. Un gesto di grande importanza politica, nel momento di maggior attacco delle destre al presidente bolivariano, sia sul piano interno che su quello internazionale.

UN GESTO sicuramente più sensato e lungimirante di quelli esibiti dai tanti che – dall’Italia all’Europa, all’Osa – parlano di pace, ma intendono la pace del sepolcro per chi difende i diritti degli ultimi, contro venti e maree. Il Vaticano entra così ufficialmente in campo come grande mediatore nel conflitto tra governo e opposizione in Venezuela. Un conflitto di classe – inutile girarci attorno – tra due blocchi sociali contrapposti, in un paese ricchissimo di risorse (le prime al mondo di petrolio e oro, ma anche di acque, di biodiversità…), e per questo al centro di comprensibili appetiti internazionali. Un paese in cui, tra esperimenti, scivoloni e approssimazioni, governa «la plebe» organizzata da un partito-contenitore, sincretico e inorganico, eccedente gli schemi classici graditi in Europa.

UN CONFLITTO che, piaccia o meno, si può anche intendere senza infingimenti: come l’inevitabile scontro tra democrazia formale e democrazia reale quando si mette davvero mano a problemi di carattere strutturale. Un conflitto da leggere senza paraocchi e manicheismi, fuori dallo schema consolatorio che guarda al Latinoamerica come a un continente in mano a un manipolo di «cattivi» oligarchi e beate moltitudini. Dal Brasile, all’Argentina, dall’Ecuador alla Bolivia, al Venezuela, per la prima volta dopo la «decade perdida» del neoliberismo sfrenato, hanno avuto accesso al consumo settori tradizionalmente esclusi: «Non avrei mai pensato che togliere dalla povertà 50 milioni di persone scatenasse una reazione simile», ha detto l’ex presidente brasiliano Lula da Silva commentando la reazione dei poteri forti contro Dilma e lui medesimo.

PARTE DI QUEI SETTORI si sono fatti sedurre dalle sirene del nemico, potenti e ben supportate, e hanno votato a destra: credendo al Berlusconi argentino o al Capriles venezuelano, che promettevano di far meglio e di più: salvo poi applicare il format deciso dai poteri forti, il giorno dopo la vittoria elettorale. E così, con una maggioranza piena in Parlamento, le destre avrebbero potuto far passare la legge sul matrimonio paritario o quella sull’interruzione di gravidanza, che stavano per essere discusse.

INVECE hanno proposto leggi di chiara marca neoliberista: bocciate dal Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), ago della bilancia in un sistema in equilibrio tra 5 poteri costituiti. E, soprattutto, hanno cercato un’improbabile unità nella loro litigiosa coalizione (La Mesa de la Unidad democratica – Mud) intorno a un’unica ossessione: farla finita con l’insopportabile operaio del metro chiamato «maburro» (somaro) così come Chavez veniva chiamato «mono» (scimmia). Ora il Parlamento ha messo in moto l’impeachment al presidente: per assenza ingiustificata dall’incarico e per essere «colombiano». Maduro ha compiuto un breve viaggio per stabilizzare il prezzo del petrolio e, dopo il papa, ha incontrato il nuovo Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. La Costituzione non prevede autorizzazione del Parlamento per un viaggio di 5 giorni.

QUANTO ALLA NAZIONALITÀ colombiana, si tratta di un «suggerimento» tossico dell’ex presidente colombiano Uribe, padrino dei paramilitari, che si è di nuovo fatto sentire. Inoltre, le decisioni del Parlamento sono state considerate illegali dal Tsj per l’inclusione di 4 deputati inquisiti per frodi e non abilitati. Anche l’impeachment non può svolgersi come in Brasile. E in ogni caso, più di mezzo paese non resterebbe a guardare. Il 30 cominciano gli incontri di mediazione sull’isola Margarita, ma una parte dell’opposizione ha di nuovo optato per la violenza.