Come riporta il quotidiano greco Kathimerini, martedì 8 dicembre il ministro della cultura Aristides Baltas ha dichiarato che la Grecia rinuncia a condurre giuridicamente la battaglia per il «rimpatrio» dei marmi del Partenone.

La disputa è nota: i fregi scolpiti da Fidia nel V secolo a.C., ˗ capolavori dell’arte classica ˗ sono custoditi dal 1816 presso il British Museum di Londra, dove furono trasferiti in seguito a un controverso dispaccio ottomano che autorizzava il diplomatico inglese Lord Elgin a rimuoverli dal tempio della dea Atena situato sull’Acropoli. Interrogato dai deputati durante una sessione del Comitato parlamentare per l’istruzione, Baltas ha detto che il governo non è più disposto a presentare un reclamo per le vie legali perché il caso rischia di risolversi sfavorevolmente in tribunale.

Il comitato si era riunito per discutere una direttiva del Consiglio europeo concernente la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro. Il ministro di Syriza ha inoltre precisato che l’avvocatessa Amal Clooney e il team dello studio Doughty Street Chambers di Londra, ai quali era stata chiesta la consulenza per un’azione volta a «costringere» il British Museum a riconsegnare i marmi, hanno già ricevuto il compenso per i servizi prestati.

Nell’autunno del 2014 la moglie del divo hollywoodiano George Clooney, si era recata in Grecia per incontrare l’allora primo ministro Antonis Samaras. La sua visita al Museo dell’Acropoli, per l’occasione blindatissimo, aveva suscitato entusiasmo e la falsa speranza che un volto glamour potesse supportare la causa di star molto più antiche quali i personaggi del mito che popolano i fregi contesi. Appresa la notizia, l’ex ministro della cultura Costas Tasoulas ha tacciato Baltas di disfattismo e non ha esitato a criticare la decisione del governo Tsipras.

D’altra parte, alla vigilia delle elezioni dello scorso anno, la rivendicazione dei marmi era stata usata come messaggio politico sia da Syriza che dal Movimento Socialista Panellenico (Pasok), facendo leva sul sentimento identitario dei Greci, i quali considerano il trasporto dei marmi in Inghilterra un furto e ne chiedono il ritorno fin dagli albori dell’indipendenza.

La retorica messa in atto durante la campagna elettorale e alimentata dal prestito del Fiume Ilisso – una delle sculture che adornavano il frontone Ovest del Partenone – dal British Museum all’Ermitage di San Pietroburgo per le celebrazioni del 250/mo anniversario di quest’ultimo, è in realtà ben lontana dai sinceri e appassionati appelli di Melina Mercouri, ministro della Cultura in Grecia dopo la caduta della dittatura dei Colonelli, seppur risenta dello stesso spirito nazionalista.

La via diplomatica scelta da Tsipras appare oggi l’unica possibile. Come commentato sul «manifesto» del 20 gennaio 2015, l’eventuale nostos (ritorno, ndr) dei marmi Elgin ad Atene deve necessariamente passare per un dialogo fra paesi europei. Considerate le tristi vicende del debito e la paventata uscita della Grecia dall’Unione europea, sarebbe quanto mai opportuno riportare all’attenzione internazionale quell’orizzonte culturale condiviso di cui spesso si parla senza tuttavia comprenderlo fino in fondo.

Riconoscere (e restituire), oggi, alla Grecia il valore di culla della civiltà occidentale significherebbe colmare un vuoto che non è fatto solo di assenze di pietra ma anche e soprattutto di sguardi sul futuro dell’Europa. A patto che anche sulle sponde elleniche si torni ad accogliere chi vi approda in cerca di asilo. Perché i valori e gli ideali universali ai quali si appellano i sostenitori della causa dei marmi, sono sempre gli stessi e l’arte non può mai esser disgiunta dall’umanità alla quale si rivolge.

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