Nel «Tax Day» in cui gli italiani hanno versato ieri 51,6 miliardi di euro di tasse, il presidente del Consiglio Renzi ha celebrato l’abolizione dell’Imu e della Tasi sulla prima casa per quasi 25 milioni di proprietari (76% dipendenti o in pensione) ai quali sono stati abbuonati 3,5 miliardi di prima rata. Tre milioni e mezzo di proprietari hanno pagato l’Imu/Tasi sulle seconde case: costo medio 55 euro con punte di 110. «Le tasse calano e le chiacchiere stanno a zero» ha detto Renzi nel giorno del «Pd pride», cercando un consenso in vista dei ballottaggi di domenica a rischio a Roma e Milano. Il ministero dell’Economia ha dato i numeri di questa prodigiosa impresa: l’Irap alleggerita del costo del lavoro per 5,6 miliardi, 530 milioni di sconto sugli «imbullonati», 401 per gli agricoltori. E il ministro Padoan ha detto che si valuterà in legge di stabilità un’altra diminuzione, oltre gli attuali «10 miliardi» di taglio. E non è mancato il plauso al bonus Irpef da 80 euro. In tutto fa «20 miliardi».

Sembra il paese di Cuccagna. Alcuni dati possono tuttavia restituire un tono di realtà alla favola renziana. Analizzando l’ultima legge di stabilità, su cui si basano i tagli alle tasse, il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri aveva parlato in audizione al Senato il 4 novembre 2015 del «carattere temporaneo di alcune coperture e il permanere di clausole di salvaguardia rinviate al futuro». Il taglio dell’Imu e Tasi sulle prime case ha penalizzato l’ autonomia decisionale agli enti locali «cristallizzando» la situazione al 2015.

La manovra ha premiato le realtà locali che hanno scelto di imporre l’aliquota più alta e ha penalizzato quelle dove la tassa è meno cara. Il rischio è di «accentuare le distorsioni» in «un panorama già fortemente differenziato del fisco sul territorio», a causa del «previsto blocco» agli aumenti di tributi e addizionali che costituiscono lo spazio di manovra delle amministrazioni locali. La Corte dei Conti ha inoltre segnalato che «i servizi indivisibili graveranno sui non residenti» non in grado «di operare il controllo politico sugli amministratori con il voto». Tra 2016 e 2018, inoltre, l’aggiustamento di bilancio andrà «a gravare prevalentemente sulle amministrazioni locali, con ripercussioni negative sulla qualità dei servizi».

In quella occasione, Federico Signorini, vice direttore generale della Banca d’Italia, aveva segnalato un altro problema legato al mancato gettito della Tasi ai comuni: «creare incentivi» per la crescita della spesa locale. Messi con le spalle al muro, i comuni aumentano le altre imposte. Per la Cgia di Mestre, al netto del bonus Renzi, le imposte nazionali sono salite del 6,1% e quelle locali dell’8% negli ultimi sei anni di crisi. Le famiglie e le imprese hanno affrontato uno sforzo fiscale aggiuntivo di 29,3 miliardi di euro. Tra il 2000 e il 2015 la tassazione locale è cresciuta del 46%. Per Paolo Zabeo, coordinatore della Cgia, è stato il risultato del decentramento fiscale iniziato negli anni Novanta. L’eliminazione della Tasi-Imu sulle prime case, e il paventato aumento delle tasse locali, rischiano di aggravare questo bilancio.

Una conferma di questo scenario è arrivato dall’aumento della Tari, la tassa sui rifiuti. Con un’analisi sui bilanci dei comuni elaborati dall’Istat, la Cgia ha stimato che il gettito complessivo della Tari per l’anno in corso sarà di 8,2 miliardi di euro. Secondo una proiezione del servizio delle politiche territoriali della Uil su 103 capoluoghi, sulle famiglie di 4 persone con sace da 80 mq, la tassa sui rifiuti è aumentata mediamente in quattro anni del 32,4%, il costo medio è stato di 296 euro (+72 euro in quattro anni). A Salerno e Benevento le cifre più alte (462 e 454). A Matera l’aumento medio è stato del 207%, a Milano del 31%, Firenze del 30%, Bari del 22,5% e Torino del 21,9%.La tassa è più pesante sulle prime case a cui è stata tolta l’Imu (296 euro medi, +66 euro).

L’importo complessivo sarebbe pari a 3,3-3,6 miliardi, la stessa cifra del taglio dell’Imu (3,5 miliardi). Lo ha fatto notare ieri il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta, impegnato nella battaglia a difesa delle politiche simmetriche di Berlusconi. «Gli italiani si ritroveranno a pagare la stessa quantità di tasse sulla casa dell’anno scorso: circa 30 miliardi». Al di là dei rimpianti, i dati sono verosimili per le altre opposizioni. «Alla fine le tasse non sono mai scese. La rottamazione è un’operazione nostalgica, sostiene Arturo Scotto (Sinistra Italiana). «Renzi fa il gioco delle tre carte» sostiene Stefano Lucidi (M5S Senato).