È sottile la strategia usata dal governo e dal comune di Roma per stanare il teatro Valle. Da un lato, avanzano una proposta che riconosce, sulla carta, il percorso politico e giuridico dell’occupazione che si è trasformata il 18 settembre 2013 nella «Fondazione Teatro Valle Bene Comune». Dall’altro lato, impongono la data-tagliola del 31 luglio. Oggi gli attivisti dovrebbero riconsegnare le chiavi del teatro e fidarsi dell’assessore Giovanna Marinelli: «Non voglio sentir parlare di sgombero, il mio non è un ultimatum, ma un’opportunità, una proposta positiva che contiene una scadenza – ha ribadito ieri – La Fondazione Valle Bene Comune ha svolto un grandissimo lavoro in questi tre anni, riuscendo nel suo obiettivo, ovvero porre all’attenzione dell’opinione pubblica la necessità che il Teatro Valle rimanesse pubblico».

Il movimento dei lavoratori dello spettacolo avrebbe vinto. Anche perché Dario Franceschini, a capo del ministero dei Beni Culturali che detiene al momento la proprietà del teatro, ha suffragato la proposta del Campidoglio avanzata grazie alla mediazione del presidente del teatro di Roma Marino Sinibaldi: «Condivido le decisioni del comune sull’affidare il Valle in gestione al Teatro di Roma – ha detto – chiedo che il teatro venga liberato entro oggi».

Non chiamatelo «ultimatum», chiede l’assessore Marinelli. Non chiamatela «trattativa» chiede Marino Sinibaldi. Allora chiamatela un’«offerta che non si può rifiutare». Perché, deduce Il Messaggero, allo scoccare della mezzanotte, ma più probabilmente sotto Ferragosto, la Prefettura di Roma potrebbe adottare la normativa che a Roma ha permesso lo sgombero del centro sociale Communia dopo l’occupazione delle storiche Fonderie Bastianelli a San Lorenzo (dove si stanno costruendo appartamenti) o quello del cine-teatro Volturno. In entrambi i casi, lo sgombero è avvenuto per garantire la sicurezza per «improcrastinabili lavori di messa a norma». Franceschini avrebbe fatto sapere «informalmente» che darà parere favorevole allo sgombero. Indiscrezioni a conferma del già noto: il Valle è una questione impellente per il governo Renzi.

Per il più antico teatro di Roma, occupato il 14 giugno 2011 all’indomani della vittoria nel referendum sull’acqua, è stato apparecchiato lo stesso tavolo. Il motivo addotto dal Campidoglio e dal teatro di Roma per giustificare la fretta nel mettere la tagliola sarebbero, appunto, i lavori per mettere in sicurezza il Valle. Un’urgenza riscoperta la settimana scorsa, dopo tre anni, alla quale gli occupanti hanno risposto positivamente. Hanno presentato una lettera di Salvatore Settis, Massimo Bray, Ugo Mattei, Paolo Berdini, Tomaso Montanari e Paolo Maddalena che attestano la disponibilità a farsi garanti dei lavori insieme alla Soprintendenza. La lettera è stata rispedita al mittente.

Al netto delle indagini della magistratura e di quella della Corte dei Conti per i 90 mila euro di utenze pagati dal comune di Roma anche per evitare problemi di sicurezza nel teatro occupato, c’è un esposto dell’Agis-Anec che solleva lo stesso problema. In attesa di una soluzione «politica», il Prefetto potrebbe procedere per un’urgenza scoperta nell’ultima settimana. In queste ore i dubbi fioccano: quali sono i motivi dei lavori straordinari? Come verranno finanziati, visto che soldi per la cultura non sono all’orizzonte? Non sarà una scusa per chiudere il teatro per i prossimi cinque anni? Su questo nessuno, oggi, può dare certezze.

La posizione degli attivisti, che stamattina alle 10 terranno una conferenza stampa alla Camera, non è quella del «muro contro muro».Sono anzi disponibili al dialogo e considerano le parole dell’assessore Marinelli «un’ulteriore apertura». Una volta constatato il riconoscimento delle ragioni che hanno portato all’occupazione (sottrarre il Valle alla privatizzazione e al bando, nuova gestione in base a principi ugualitari, trasparenti, mutualistici e democratici) chiedono il chiarimento sui tempi e l’autonomia per la fondazione nel teatro di Roma. «Non siamo interessati alla gestione diretta del teatro – precisano – Vogliamo mantenere saldi i principi che ispirano questa esperienza di lotta nella prospettiva futura di gestione partecipata del Valle».

«L’ultimatum è sbagliato – afferma a Il Manifesto Stefano Rodotà che ha sottoscritto l’appello internazionale a sostegno del Valle tradotto e pubblicato sul nostro giornale – C’è un punto evidente messo in rilievo da Marino Sinibaldi: il riconoscimento di un’esperienza culturalmente significativa e particolarmente vitale. Ora bisogna trovare le forme per riconoscere chi ha svolto quest’opera meritoria. Ma bisogna rimuovere la tagliola di luglio. Secondo, manca un impegno politico che dica: i lavori non sono un pretesto per sbattervi fuori, vi daremo altri spazi e la concreta possibilità di rientrare una volta conclusi i lavori. Non c’è da stare tranquilli. Si dice: negozieremo quando la fondazione avrà un placet legale pieno, oltre il parere del prefetto di Roma. Potremo tornare a lavorare su questo statuto, ma il riconoscimento del lavoro fatto dev’essere un punto fermo del percorso che si vuole aprire».