Questa volta tocca proprio al ministro degli Esteri francese Laurent Fabius fare pressioni sull’Iran affinché «colga l’occasione» e sigli l’accordo sul nucleare. Proprio la Francia aveva fatto saltare il tavolo negoziale, il 10 novembre 2013. In quell’occasione Fabius si rifiutò di siglare la prima bozza, annunciata da Mosca, che circolava a Ginevra. Le preoccupazioni in materia di sicurezza, espresse dalla Francia, provocarono lo strappo di parte della delegazione iraniana che lasciò il tavolo per alcune ore, accusando Parigi di essere sulle stesse posizioni intransigenti di Israele. Questa volta, sembrano invece proprio i P5+1 (paesi del Consiglio di Sicurezza con la Germania) a voler chiudere il contenzioso con l’Iran lungo undici anni. Ma il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif non sarebbe pronto a scendere a compromessi rimanendo in continuo contatto con la guida suprema Ali Khamenei, che ha l’ultima parola sulle concessioni in materia di nucleare perché si chiuda l’era dell’embargo internazionale. Il Segretario di Stato Usa aveva chiesto giovedì di evitare «un’estensione dei colloqui», tuttavia il ministro degli Esteri inglese Philip Hammond ha ammesso di «non essere ottimista che sia possibile arrivare a un accordo entro il 24 novembre», la scadenza fissata dopo l’estensione di sei mesi stabilita in seguito all’accordo ad interim raggiunto a Ginevra un anno fa. Hammond ha aggiunto che ci sono ancora «divergenze significative». Fonti britanniche parlano della necessità che i colloqui continuino, si vocifera della possibilità di una nuova intesa temporanea e di ulteriori incontri tecnici.

Una delle questioni più controverse riguarda il reattore ad acqua pesante di Arak. Il negoziatore iraniano, Ali Akbar Salehi ha confermato che Tehran intende apportare modifiche al reattore in costruzione, ma i P5+1 chiedono il totale abbandono del progetto. Dal canto suo, il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea), Yukiya Amano ha confermato che le autorità iraniane non hanno fornito spiegazioni esaustive su alcuni programmi di ricerca nucleare in corso. Lo scorso aprile l’Aiea aveva invece confermato la completa collaborazione delle autorità iraniane nelle ispezioni, secondo quanto stabilito dall’accordo preliminare di Ginevra. L’Iran ha parzialmente sospeso le ispezioni internazionali dopo l’annuncio di nuove sanzioni approvate in primavera dal Congresso Usa.

A fare pressioni per chiudere l’accordo al più presto è invece il ministro degli Esteri russo Lavrov. «È questione di volontà politica», ha detto. La crisi in Ucraina aveva pesato non poco la scorsa estate sulle possibilità di raggiungere un accordo finale con l’Iran. Da allora l’asse con Mosca non è mai stato così solido. Alla vigilia dei colloqui di Vienna, Russia e Iran hanno siglato una serie di accordi per realizzare fino a otto reattori nucleari in Iran.

Tutto è ancora possibile quindi. Ma è certo che dietro la storica intesa ci sono due leader indeboliti. Da una parte, il presidente Barack Obama è reduce dalla sconfitta alle elezioni di midterm e ha perso la maggioranza nel Congresso Usa, rendendo più complessa l’approvazione di qualsiasi norma che abbia come scopo la rimozione delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Tuttavia un accordo con l’Iran potrebbe facilitare una distensione delle tre principali crisi regionali dall’Iraq, dilaniato dall’avanzata dei jihadisti, al conflitto in Siria fino al ruolo centrale di Tehran in Afghanistan. D’altra parte, anche la guida suprema Ali Khamenei è apparsa nelle ultime settimane più fragile, ripreso in ospedale dopo una delicata operazione chirurgica. Se facesse un passo falso, Khamenei potrebbe veder crollare l’intero impianto rivoluzionario post-khomeinista insieme alla dura contrapposizione con l’Occidente, per questo si mantiene prudente, consapevole che l’Iran ha tutte le carte in regola per andare avanti nonostante le sanzioni internazionali.