Eravamo stati facili profeti quando scrivemmo, di fronte all’offensiva televisiva del presidente del consiglio in primavera, che c’era il rischio che in autunno si ripetesse la stessa cosa, se non peggio. E allora eccoci.

Da Renzi è partita l’offensiva mediatica e televisiva d’autunno, in vista del voto del 4 dicembre, alla faccia della spersonalizzazione. Ed è partita prima che scatti la par condicio vera e propria, in linea con le furbesche tecniche sperimentate dal Cavaliere nel passato.

Qualcuno però ora dovrà intervenire. Non possiamo assistere ad un così palese stravolgimento degli equilibri informativi quando c’è in ballo la riforma della Costituzione. Non si può permettere a Renzi di andare in tv, o in radio, quando e come gli pare, e nei formati nazionalpopolari di intrattenimento, in barba ai requisiti minimi di decenza istituzionale e politica. La presenza da Giletti domenica pomeriggio, che precede la nuova comparsata a Politics e magari una pure a Domenica Live su Canale 5, nonché le molte altre probabili occupazioni televisive, domenicali e non, è allarmante, anche per i precedenti storici che evoca.

Come già dicemmo, accadde nella Francia degli anni ’60, quando De Gaulle, scatenando un putiferio nell’opinione pubblica, si presentò ripetutamente e fuori da ogni controllo in televisione, in una serie di allocuzioni proprio nel periodo immediatamente precedente il referendum in cui chiamava i francesi a votare per la riforma presidenziale della Repubblica.

Era il 1962 e De Gaulle era già comparso moltissime volte in tv senza contraddittorio, in una specie di messaggio alla nazione. Ma nelle settimane che precedettero il voto (si votava ad ottobre) il generale ne intensificò la frequenza andando in video, da solo, quattro volte. Si scatenò una formidabile reazione, soprattutto da parte della stampa e del direttore de L’Express Servan-Schreiber, che accusò il primo ministro di compiere un vero e proprio «colpo di stato elettronico». Si coniò, lo ricordiamo, proprio in quella occasione un nuovo vocabolo: «telecrazia». Ciò non bastò a scongiurare la vittoria di De Gaulle che potè così rinsaldare alla luce delle nuove regole il suo potere.

Alcune domande s’impongono. Ci sarà da Giletti lo stesso spazio per un leader del No prima che scatti la par condicio? E ci sarà spazio per qualche esponente del No su Canale 5? E ci sarà chi farà rispettare la norma che prevede che il premier possa andare in televisione durante periodi preelettorali solo e soltanto per gravi fatti di interesse nazionale?

Qualcuno allora faccia qualcosa. Ci si incateni davanti alla Rai e a Mediaset, si interpelli (ancora una volta!) il presidente della Repubblica come supremo custode delle garanzie di equilibrio, si alzi il livello della contrapposizione politica, intervenga il presidente della Vigilanza Roberto Fico (nel settembre di tre anni fa, direttore generale Luigi Gubitosi, fu autore con Grillo di un blitz a viale Mazzini), ma si impedisca lo scempio che il premier si prepara bellamente a fare del pluralismo. Raccontando senza contraddittorio le bugie: come quando attacca Bersani a «l’Arena» dicendo che ha votato 3 volte sì alla riforma, ma senza che nessuno gli dica che quel sì era stato condizionato alla promessa di Renzi di cambiare l’Italicum. Frutto, ciò, anche dell’avere permesso che la discussione politica nazionale si svolga in formati, diciamo, poco professionali e con conduttori poco attrezzati.

Dunque i segnali che arrivano, nonostante gli allarmi del passato, sono estremamente preoccupanti: l’Agcom che non fornisce i dati sugli spazi al sì e al no, il principale telegiornale del paese che tifa per il premier (vedi anche Zaccaria domenica sul Fattoquotidiano), Matteo Renzi che fa il pieno televisivo prima che scatti la par condicio.

Ma sarebbe mai possibile in un altro paese civile che, di fronte ad una scadenza di tale delicatezza, un capo del governo faccia quello che sta facendo il nostro premier senza che nessuno sollevi la questione? Chi ha cuore la democrazia non può fare finta di nulla. Meno che mai, ci consenta, il presidente della Vigilanza Fico, in questa circostanza chiamato a farsi sentire alto e forte, ad esercitare fino in fondo e con efficacia i suoi compiti istituzionali. Perché è il momento di dire basta.