Meno considerata dai media nostrani, la situazione nel Pacifico non accenna a migliorare. Il disimpegno Usa da altre zone e il suo concentrare le proprie energie in questa area del mondo, ha creato tensioni notevoli tra i paesi della regione. L’annuncio, qualche settimana fa, di un sistema anti missile Usa, utilizzato dalla Corea del Sud a partire dal 2017, ha fatto infuriare Pechino.

Ieri l’organo ufficiale del Partito comunista, il Quotidiano del popolo, non ha lesinato le critiche, arrivando a maturare una vera e propria minaccia nei confronti degli Stati uniti: «pagherete», era scritto nell’editoriale.

Non si tratta di minacce da prendere alla leggera. Pechino si sente accerchiata, ha quasi tutti i paesi che si affacciano nell’area «contro» – benché Manila possa diventare un jolly per Pechino – nonostante i tentativi di riportare a una sorta di decenza diplomatica Pyongyang. Il rischio di incidenti ristagna in un’area preda di trasformazioni sociali che fomentano i nazionalismi, aumentando i rischi.

Lo yuan cinese entra a far parte del paniere Fmi

Di sicuro è un grande successo, ma quanto è prematuro e quanto gioverà a Pechino? È quanto andrà verificato nell’immediato futuro. Di sicuro l’inclusione dello yuan nel paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale costituisce un fatto storico.

Lo yuan (rmb) è entrato dal primo ottobre a farne parte, un grande successo diplomatico della Cina che da anni tenta di ottenere questo status, specie dopo l’ingresso nel Wto (e con la speranza che permetta di ottenere anche lo status di «economia di mercato»). La notizia in Cina è stata accoppiata alle celebrazioni per la festa della Repubblica popolare, fondata il primo ottobre del 1949 da Mao.

Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha definito «una importante e storica pietra miliare» per i sistemi finanziari internazionali l’inclusione dello yuan quale quinta valuta nel paniere, poiché rappresenta il riconoscimento dei progressi fatti dalla Cina nella riforma dei suoi assetti finanziari e monetari. Nel paniere, lo yuan ha un peso del 10,92%, alle spalle solo del dollaro (41,73%) e dell’euro (30,93%), mentre le altre quote sono in carico a yen giapponese e sterlina britannica.

Xi mette nel mirino la Lega dei giovani per «consolidarsi»

Un taglio netto al budget, insieme a una serie di manovre più «politiche». Il segretario nonché presidente Xi Jinping starebbe tentando di diminuire il grande potere della Lega dei giovani comunisti, feudo del precedente presidente Hu Jintao e dell’attuale premier Li Keqiang.

Il presidente Xi Jinping si sta già preparando al congresso del 2017 nel quale verranno eletti i nuovi membri dell’ufficio centrale del Politburo. Solo Xi e Li Keqiang rimarranno rispettivamente il numero uno e il numero due del gruppo di sette attualmente al vertice. Gli altri cinque, per raggiunti limiti di età dovranno essere sostituiti.

Le nomine saranno fondamentali, perché nel 2022 saranno i nuovi capi del partito a decidere chi dovrà succedere all’attuale presidente Xi Jinping. E quest’ultimo, come i propri predecessori, cerca di muoversi per tempo, per evitare sgradite sorprese.

Nell’ambito dei gruppi interni al partito, a quello che fa capo proprio a Xi (il gruppo «Zhejiang» dal luogo dove Xi è stato segretario dal 2002 al 2007) si contrappone quello della Lega. Sullo sfondo un terzo gruppo, quello di «Shanghai» più legato al grande vecchio del Pcc Jiang Zemin.