Teresa De Sio la conosci per i suoi successi, per canzoni come Voglia e’ turnà e Aumm Aumm, per quei tre album che all’inizio degli anni ottanta consentirono al suo originale approccio al folk di oltrepassare la popolarità locale che le prime esperienze in Musicanova e con la nuova scena musicale napoletana le stavano già dando. Ma, da allora di anni ne sono passati, De Sio non ha smesso di cercare un’autonomia artistica, indipendente e sperimentale, talvolta incompresa e capace allo stesso tempo di attirare nel suo universo musicale un genio come Brian Eno, fino ad essere in tempi recenti autrice di romanzi per Einaudi, Metti il diavolo a ballare e L’attentissima, e con un terzo in arrivo. Oggi googlando «teresa de sio» il primo link ad apparire è quello del suo sito, evidenziato dal claim «stato mentale spericolata, stile musicale folk muscolare» che è quanto di più vicino alla definizione del carattere appassionato ed attualmente euforico della cantante napoletana che ha pubblicato ieri il suo nuovo album dal titolo: Teresa canta Pino.

È un’euforia contagiosa quella che la prende – e come lei stessa tiene a sottolineare dopo qualche battuta a vuoto e lutto familiare – nel momento in cui vede la luce uno dei suoi lavori più sentiti: avvertito ed emotivo omaggio dedicato a due anni dalla scomparsa all’amico e maestro Pino Daniele, ’O Jammone, il capo come lo indica nell’unico inedito dell’album, e a ben cinque dal suo ultimo lavoro in sala d’incisione Tutto cambia: «In tutto questo tempo ho anche scritto brani inediti per un altro progetto. Si può dire che è pronto, le tracce suonate e cantate ci sono, è come dire sprovinato. Mentre Teresa canta Pino bolliva da un po’ più di tempo, ma mi sono trattenuta dal farlo uscire per una serie di motivi. Posso dire: troppa sensibilità ci voleva ad affrontare le canzoni di quello che era più di un amico, quasi un fratello? O forse mi sono tenuta lontano da un lavoro che avrebbe suscitato sicuramente delle polemiche? Non mi interessavano né l’una né l’altra cosa». Alla fine i tempi sono diventati maturi e ciò che ne è uscito è molto «molto buono». Pino Daniele ne sarebbe rimasto meravigliato e soddisfatto, soprattutto dalla scelta dei brani e nell’approccio teatrale dato sia all’interpretazione sia agli arrangiamenti. Nondimeno alla copertina che ritrae il vis à vis di un gallo e gallina reali: «Volevo che fosse così con due animali beneauguranti. Il gallo canta su tutti e la gallina gli tiene testa; questa è un’immagine molto intuitiva, potrà piacere o no, ma è smitizzante. Ci chiamavano il re e la regina».

Mentre e a proposito delle canzoni, come è avvenuta la selezione? È stata scelta emotiva o d’opportunità, pensando di far conoscere ai più giovani i brani più celebri e allo stesso tempo non scontentare l’immaginario dei fans più accaniti di Daniele? «Innanzitutto, proprio dai teatri a marzo partirà il tour che proseguirà ritengo anche d’estate». «Dico: quando faccio una cosa non ho mai in testa a chi possa essere destinata, forse è un errore strategico, ma non artistico. Tra l’altro dopo tanti album autoprodotti e lo è anche questo, c’è una grande distribuzione come la Universal che ha tutto il catalogo precedente mio e di Pino. Per le canzoni: ho scelto immediatamente di privilegiare nel materiale immenso che avevo a disposizione, Pino Daniele napoletano. A mio avviso più rappresentativo di se stesso. E ho preferito una volta concentrata sul progetto di costruire un «balance» tra le canzoni più note che tutti conoscono e cantano come O’scarrafone o Quanno chiove e alcune chicche come Serenata a fronn’e limone e Fatte ‘na pizza che sono importanti perché sotto un’apparente leggerezza spezzano stereotipi duri a cedere».

Dunque, da questa prospettiva vengono illuminati anche i suoi testi che: «Sono tutt’uno con la musica, più dei pezzi dei cantautori puri» ed infatti « sembra che ci sia attaccata tra le parole e la musica una colla speciale». «Ed è stata grande la sua capacità di sintesi. In lui esiste quel giro armonico perché va bene per quelle parole. Con il suo far sintesi è riuscito a dar importanza alla parola cantata. D’altronde questo è alla base del blues e del folk ed è il giocare con le parole musicate e le musiche parlate. Molto di ciò è poi riportato nella mia carriera e nell’esperienza con il rock e il folk».