Un’alternativa dal basso alla «globalizzazione dell’indifferenza». Questo il senso dell’Incontro mondiale delle organizzazioni popolari che si svolge a Roma da domani al 29 e che accoglie delegati provenienti dai cinque continenti. La conferenza di presentazione, che si è tenuta nella sala stampa del Vaticano, ha messo in luce la particolarità dell’evento, significata dalla presenza al tavolo di due cardinali – Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze sociali – e di un attivista argentino, Juan Grabois, della Confederacion de Trabajadores de la Economia Popular (Ctep), una delle strutture che ha organizzato l’incontro internazionale.

Un consesso degli esclusi fortemente appoggiato da papa Bergoglio – ha spiegato padre Federico Lombardi, gesuita come il pontefice argentino. E così, a fianco del Movimiento mundial de Trabajadores Cristianos troviamo i Movimenti delle fabbriche recuperate in Argentina (ci sono anche l’italiana Rimaflow, Communia Network e Genuino clandestino), centri sociali come il Leoncavallo, la Banca etica, e organizzazioni popolari marxiste e laiche, dall’Asia all’Africa, agli Stati uniti e all’America latina: a partire dal Movimento dei Sem Terra, uno dei principali organizzatori.

L’egemonia? Se ne è discusso per qualche mese, non senza defezioni e malumori, ma alla fine ha prevalso la parola «incontro», nel «cammino aperto da papa Francesco, che sostiene di avere molti amici trotskisti e che ci ha aiutato a situare il tema dell’ingiustizia e dell’esclusione», ha detto Monsignor Sorondo, e ha precisato: «D’altronde, Gesù è arrivato prima del marxismo, e poi dopo la caduta del socialismo i marxisti non sono più un pericolo».

E comunque, la chiesa di Bergoglio è tornata a «vedere» quei preti che incrociano il conflitto sociale, e a misurarsi persino coi momenti e coi luoghi in cui è necessario disobbedire. Per l’Incontro mondiale arriverà anche il presidente della Bolivia, Evo Morales, appena rieletto a grande maggioranza: però non come capo di stato, ma come ex sindacalista indigeno e «cocalero».

Dopo la conferenza stampa, Juan Grabois ha spiegato al manifesto che «per superare ostacoli e differenze e affrontare insieme un capitalismo selvaggio che distrugge la natura e condanna i giovani a non avere futuro», si è preferito racchiudere il senso dell’Incontro intorno alle «3 T, Tierra, Techo e Trabajo», terra, casa, e lavoro, «diritti elementari che tutti desideriamo, ma che necessitano di una forte e tenace organizzazione popolare: per spingere i governi progressisti ad approfondirli e combattere quelli che progressisti non sono».

Obiettivi prioritari per i settori sociali maggiormente esclusi: «i lavoratori precari, i migranti, i disoccupati e chi partecipa al settore dell’economia informale e autogestito, senza protezione legale, riconoscimento sindacale o coperture sociali. E poi i contadini, i senza terra, i popoli originari e le persone che rischiano di essere espulse dalle campagne a causa della speculazione agricola e della violenza;le persone che vivono ai margini delle metropoli, dimenticati da una struttura urbana inadeguata». Tra gli obiettivi, c’è dunque «la riforma agraria, quella del lavoro e la costituzione di Consiglio dei movimenti popolari, articolato a livello globale».

In Argentina, il Ctep racchiude oltre 500 organizzazioni, come il Movimento delle fabbriche recuperate, e quello dei Cartoneros, «composto da oltre 5.000 lavoratori che gestiscono il riciclaggio a Buenos Aires e che tengono alle proprie conquiste aperte dalle lotte dei piqueteros nel 2001. Da noi, gli informali sono il 30% della classe lavoratrice, un settore che dev’essere riconosciuto in un nuovo sindacato».

Nessun dubbio, per Grabois, che i movimenti argentini debbano lottare per la sovranità del paese e contro i fondi avvoltoi per ribadire ai poteri forti internazionali «che c’è un limite da non valicare». L’attivista ha al collo un fazzoletto kurdo, e il movimento federalista è presente all’incontro «Lo porto apposta – dice – per appoggiare la loro resistenza contro una banda di mercenari che massacra la popolazione con le armi della Nato. Nella federazione kurda si pratica la democrazia diretta e la parità di genere, un esempio che disturba».

E i movimenti in Europa?«Qui la situazione dei migranti è ben peggiore che da noi, dove almeno possono organizzarsi e lottare. Ne ho visti lavorare in ogni strada di Roma, e come me li vedono tutti, ma restano invisibili e senza diritti. Il cuore di chi ha tutto è chiuso, ma noi dovremmo costruire un’alleanza globale tra giovani precari e migranti e farne la linea principale della battaglia contro l’ingiustizia».