Notte dopo notte, l’esodo dei migranti si ripete davanti all’Eurotunnel. Tutti insieme, a gruppi, cercano il modo di lasciare la Francia e attraversare la Manica. La prima «ondata» all’inizio della settimana. Nella seconda è morto un giovane africano. L’altra notte la polizia ne ha intercettati circa 300, ma erano di nuovo un migliaio quelli in movimento lungo i binari o attraverso le recinzioni.

«È una situazione insopportabile per tutti, ma nessuno fa niente» denuncia Antoine Osbert, responsabile di una ong francesi che operano nella «tendopoli» intorno a Calais. «Anche se non viene riconosciuta ufficialmente, per noi è un campo profughi con tanta gente senza diritti e senza accesso ai servizi essenziali» evidenzia Celine Morin di Solidarités Internacional, una delle quattro ong che operano sul campo. E aggiunge: «È la prima volta in 35 anni che lavoriamo in Francia, con competenze e logistica normalmente tarate sulle zone di guerra o per le aree delle catastrofi naturali».

Insomma, Calais è, di fratto, il sinonimo di Lampedusa. Come l’isola siciliana rappresenta il primo approdo dei migranti, così l’ingresso dell’Eurotunnel è ormai diventato l’altro «imbuto» dei flussi diretti verso la Gran Bretagna. Il Mediterraneo prima, la Manica poi: lo stesso esodo dai contorni biblici, sempre meno governabile in termini di sicurezza.

A 7 chilometri dal centro cittadino, una sorta di deserto di una ventina di ettari. La tendopoli o baraccopoli sprovvista di acqua potabile ed energia elettrica. «Abitata» da migliaia di persone in fuga dall’Africa (Etiopia, Sudan, Eritrea), dall’Afghanistan e ora anche da Siria e Libia. Qualcuno la chiama «giungla» come sei anni fa, quando per la prima volta i migranti arrivarono sulle sponde francesi della Manica. L’obbiettivo, per tutti, è raggiungere la Gran Bretagna: hanno parenti, conoscono meglio la lingua, immaginano di poter sopravvivere con meno affanni.

Rispetto all’«emergenza» del 2009, la situazione per loro è cambiata. Il porto di Calais non può offrire nessun pertugio: impraticabile anche a causa delle proteste dei marittimi della MyFerryLink, società del consorzio Eurotunnel che ha licenziato tutti e chiuso l’attività. Non restano che le “navette” del terminal dirette a Folkestone: chi prova a saltarci sopra, rischia però di fare la stessa fine del ragazzo morto schiacciato dal camion.
Per la terza notte consecutiva, i gruppi di migranti entrano nel terminal fino a guadagnare l’ultimo tratto di autostrada: camion, Tir e altri mezzi pesanti sono in coda per le “navette”. C’è chi apre i portelloni infilandosi fra le merci trasportate. Altri provano ancora a nascondersi fra ruote e assale. Oppure i migranti inseguono le “navette” in corsa che viaggiano a circa 30 chilometri all’ora: sono lunghe fino a 800 metri e ognuno rincorre il salto giusto. Tutt’altro che facile: appena un centinaio di migranti quest’anno ha attraversato il tunnel in questo modo. Gli altri vengono raccolti feriti (200 nella notte in cui si è registrata anche la morte del ragazzo) o sono costretti a ritornare sui loro passi.

Una situazione ormai insostenibile. I controlli? Più che ardui nell’arco di una trentina di chilometri dell’area intorno al tunnel. La società Eurotunnel ha più di 200 uomini schierati, ora con il supporto degli altri 120 poliziotti e gendarmi francesi che il governo ha mobilitato nelle ultime ore a sostegno degli altri 300 colleghi. Quest’anno il consorzio privato ha già speso una dozzina di milioni di euro in sicurezza. «Non siamo più di fronte a tentativi sporadici» scandisce il presidente di Eurotunnel, Jacques Gounon, «bensì a invasioni sistematiche, massicce e probabilmente organizzate». Il riferimento è alla criminalità cinese e albanese che controlla, secondo la polizia francese che ha all’attivo una ventina di blitz da gennaio a giugno, il traffico dei migranti in Francia e verso la Gran Bretagna.