Lo slogan più basagliano, la libertà è terapeutica, in realtà l’ aveva inventato lui, Ugo Guarino, disegnatore, pittore, scultore morto a Milano il 2 maggio a 89 anni. Era probabilmente il 1973, come abbiamo ricostruito l’ultima volta che l’ho visto, un anno e mezzo fa. All’epoca Ugo, che ritornava a Trieste dopo una vita a Milano, a Parigi e a New York, aveva già messo in piedi il Collettivo d’arte Arcobaleno nell’ospedale psichiatrico diretto da Franco Basaglia, e il «modulo aperto Arcobaleno», un giornale murale 100×70 con un grande spazio vuoto al centro, si vedeva un po’ dappertutto riempito di annunci, commenti, disegni.

Il Collettivo Arcobaleno non era una struttura, era un gruppo variabile che Guarino attraeva di volta in volta e che animava situazioni e luoghi diversi. Quel pomeriggio di agosto, grigio e pesante come sa essere Trieste quando non c’è vento, avevo visto Ugo e un gruppo di ricoverati aggirarsi con barattoli di vernice e pennelli, e mi ero unita a loro. Iniziava la fase dei murales e la libertà è terapeutica fu il primo, dipinto in quel pomeriggio sul muretto del viale principale del manicomio e sulla facciata della palazzina della direzione, che già non era più tale dato che ospitava appartamenti per ex ricoverate. Facemmo anche il murale care donne obbedire non è più una virtù sulla facciata del reparto B, pieno di uomini difficili, ricoverati e infermieri, e file di gatti che erano presenze costanti nei lavori di Ugo e nel parco dell’ospedale. Questi e gli altri murales di quegli anni – la verità è rivoluzionaria, venga a prendere un elettrochoc da noi: firmato Pinochet per citarne alcuni – erano visibili fino a non molto tempo fa, ma quando la città ha definitivamente conquistato la collina dell’ex manicomio restaurando strade, segnaletica ed edifici, i murales sono quasi tutti scomparsi. Solo la libertà è terapeutica ha avuto altre vite sia nei disegni di Guarino che in diverse serie di tshirt che la accreditano come frase di Basaglia.

Per Guarino quegli anni a Trieste sono stati molto felici dal punto di vista creativo. Nel clima confuso, accogliente e assai poco normativo del manicomio in via di smantellamento Ugo si muoveva a suo agio, silenzioso e quasi invisibile, eppure attento, presente e spesso pungente con i suoi manifesti, oggi in gran parte in un suo libro di disegni, Zitti e buoni! ( Feltrinelli, 1979 con una prefazione di Franca Ongaro Basaglia). Era come se per lui non ci fosse soluzione di continuità tra il vivere, il lavoro di artista e l’essere compagno di una lotta in cui credeva. Certo, quello è stato, in questo senso, un momento felice per tutti noi che l’abbiamo condiviso, anche se non ne dimentichiamo la fatica, il dolore, i dubbi. A volte però erano possibili «sprazzi di utopia», per dirla con Basaglia, come quella volta della Gita Aerea (1975), un’idea a cui avevo lavorato con uno studente di Napoli che era steward all’Ati, un’azienda Alitalia dalla quale riuscimmo ad avere, gratuitamente, un aereo con equipaggio che portò cento ricoverati in volo su Trieste e Grado. Il manifesto lo immaginammo insieme con Guarino e Franco Basaglia che si divertì moltissimo a immaginare anche le sagome di cartapesta per la festa della sera, perché Ugo riusciva a farti sentire partecipe della creazione lontano com’era della retorica dell’artista, e questo per convinzione e senso dell’umorismo non certo per ingenuità.

Intanto il lavoro di smantellamento del manicomio di Trieste andava avanti e Guarino lo rappresentò con un’opera che dice molto delle sue frequentazioni americane: i Testimoni (1976), sette grandi figure di legno costruite con vecchi mobili del manicomio, «decrepiti legni di uso quotidiano scrostati, macchiati di urine e feci, miseri oggetti consunti che rimangono oggi – così li descriveva Franca Ongaro Basaglia – quali muti fantasmi ad accusare, testimoniare, documentare la non vita degli internati nel vecchio manicomio». I Testimoni girarono l’Italia e stavano per essere acquisiti dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma quando furono distrutti da un incendio accidentale in una delle scuole in cui stavano per essere esposti.

Ma la partecipazione alla liberazione dal manicomio è stata una delle dimensioni di Ugo Guarino.
Lo scorso anno, tra giugno e ottobre, il Comune di Trieste e la Fondazione Rizzoli Corriere della Sera gli hanno dedicato una mostra al Museo Revoltella curata da Silvia Magistrali e Francesca Tramma che hanno anche curato il catalogo che è un vero e proprio libro a più voci, L’alfabeto essenziale di Ugo Guarino (Corraini). Da qui il percorso di Ugo Guarino si vede nella sua originalità e coerenza: dai disegni sospesi «fra il surrealismo, la satira e la favola» che hanno incantato Dino Buzzati nei primi anni cinquanta alle sculture-robot create con gli scarti della civiltà tecnologica alla selezione di disegni di altri suoi due libri: una cattivissima versione di Cuore di Edmondo De Amicis (Milano Libri, 1968, prefazione di Dino Buzzati) e La psicanalisi (Milano libri, 1974, prefazione di Cesare Musatti) una straordinaria rivisitazione ironica del mondo freudiano. Infine il suo ultimo lavoro: i disegni quotidiani che dal 1995 al 2014 hanno illustrato sul «Corriere della Sera» con pochissimi tratti essenziali la Stanza di Indro Montanelli e poi le rubriche di Paolo Mieli e Sergio Romano.