Alla fine di luglio il Panchen Lama nominato da Pechino e contestato dai tibetani, Gyaltsen Norbu, ha impartito gli insegnamenti della Kalachakra – un’iniziazione esoterica molto importante nel buddhismo tibetano – nel pressi del monastero di Tashi Lhunpo a Shigatse, nella Tibet Autonomous Region (TAR).

Si è trattato di un fatto di grande importanza storica – è stata la prima volta negli ultimi 50 anni che la cerimonia si è svolta in Tibet. In questi anni, gli insegnamenti della Kalachackra sono stati impartiti solo dal Dalai Lama in cerimonie che si sono svolte in India. La cerimonia è durata quattro giorni e, secondo i cronisti dei media di regime, gli unici autorizzati ad assistere all’ avvenimento, vi hanno preso parte circa 50mila buddhisti (in Cina esistono circa trecento milioni di seguaci di questa religione).

L’avvenimento ha anche una grande rilevanza politica per il futuro del Tibet, dato che ha rappresentato un’ importante mossa del regime di Pechino volta a preparare il terreno allo scontro che avverrà alla morte del Dalai Lama, che ha 81 anni e gode di buona salute ma che certo non è eterno.

Lo stesso Dalai Lama ha affermato più volte che potrebbe reincarnarsi fuori dal Tibet, che potrebbe reincarnarsi in una donna o che potrebbe non reincarnarsi affatto, mettendo fine al lignaggio che dal 17/mo secolo domina il buddhismo tibetano. Nel 2007, Pechino ha affermato che le reincarnazioni dei grandi lama buddhisti devono essere «autorizzate» dal governo centrale. Una bestemmia per i buddhisti secondo i quali un «bodisathva» come il Dalai Lama decide lui stesso se e come reincarnarsi. La polemica sulle reincarnazioni ha visto un primo scontro tra i fedeli del Dalai Lama e gli uomini di Pechino addetti ad occuparsi delle religioni proprio in occasione della scelta di Gyaltsen Norbu come undicesimo Panchen Lama.

Nel buddhismo tibetano non esiste una «gerarchia» vera e propria, come in altre religioni. Negli ultimi secoli il è stato dominato dai Dalai Lama, che possono essere considerati quindi i «numeri uno». Generalmente si ritiene che il Panchen Lama sia il secondo e il Karmapa il terzo in ordine di importanza. I primi due appartengono alla setta dominante, quella chiamata Gelugpa e il terzo alla Kagyupa.

Tra Dalai Lama e Panchen Lama esiste una stretta relazione storica. L’esperta di buddhismo del sito about.com, Barbara O’Brien ha spiegato che il primo Panchen Lama è stato Khedrup Gelek Pelzang (1385-1438), un seguace del lama ritenuto il fondatore della Gelugpa, Tsongkhapa. Prosegue O’Brien: «…Il titolo di ‘Panchen Lama’, che significa ‘Grande Studioso”, fu conferito dal Quinto Dalai Lama al quarto lama del lignaggio che fa capo a Khedrup. Questo lama, Lobsang Chocky Gyaltsen (1570- 1662) è ricordato come Quarto Panchen Lama, anche se fu il primo a portare questo titolo da vivo. Oltre ad essere un discendente spirituale di Khedrup, il Panchen Lama è considerato un’emanazione del Buddha Amitabha. Insieme al loro ruolo di insegnanti del dharma, i Panchen Lama sono generalmente responsabili per la il riconoscimento delle reincarnazioni dei Dalai Lama (e viceversa)».

È chiaro dunque il ruolo di Gyaltsen Norbu nel progetto cinese di normalizzazione del Tibet, che si articola nei seguenti punti: continuare con la feroce repressione degli ultimi anni nella TAR e nelle altre aree della Cina a popolazione tibetana che occupano buona parte delle province del Gansu, Qinghai, Sichuan e Yunnan; aspettare la morte del Dalai Lama; scegliere il suo successore usando la «legittimazione» del Panchen Lama «cinese».

Secondo gran parte dei tibetani – e degli stessi monaci del Tashi Lumpho, il monastero-base di questo lignaggio – il vero Panchen Lama e’ in realta’ Gedhun Choeky Nyima, riconosciuto da un gruppo di monaci inviati dal Dalai Lama dopo la morte del Decimo Panchen Lama Lobsang Trinley Lhundrub Chokyi Gyaltsen (1938-1989).

Osteggiata dai cinesi, la delegazione inviata dal Dalai Lama impiegò degli anni a trovare Gedhun, che allora – era il 1995 – aveva sei anni e che fu immediatamente arrestato dalle autorità cinesi e fatto sparire con la sua famiglia. Pechino ha sempre respinto le richieste dei gruppi umanitari internazionali di visitare Gedhun e i suoi familiari; portavoce cinesi si sono limitati a dire che «sta bene» e conduce una vita «normale».

Al suo posto, Pechino installò il suo coetano Gyaltsen Norbu. Il ragazzo vive a Pechino, dove sono stati portati di volta in volta i «maestri» che dovevano impartigli gli insegnamenti necessari a farne un Panchen Lama.

Poche volte, prima del luglio scorso, si è recato a Tashi Lhunpo dove, secondo fonti della diaspora tibetana, è stato aspramente contestato da una parte dei monaci. Girando nella TAR – esperienza sempre piu’ rara per i giornalisti, e anche per i turisti, stranieri – e nelle altre aree tibetane si può facilmente constatare che da nessuna parte sono esposte le sue fotografie. Tuttte le abitazioni e i negozi che espongono foto del Panchen Lama usano quelle del 10/mo esponente del lignaggio. Si tratta di un personaggio interessante.

Alla morte del 13/mo Dalai Lama (nel 1937) le autorità cinesi approfittarono del fatto che il suo successore era ancora un bambino per nominare la sua reincarnazione: la scelta cadde su Lobsang Trinley Lhundrub Chokyi Gyaltsen, che nei primi anni fu un sostenitore dell’autorità della Cina in opposizione a quella del Dalai Lama.

Quando quest’ultimo, nel 1959, fu costretto a fuggire in India, il Panchen Lama decise di restare nel Tibet occupato. Nel 1962, sorprendendo i suoi alleati cinesi, il Panchen Lama inviò all’allora premier Zhou Enali una lunga lettera di protesta sulla «brutale soppressione» subita dai tibetani.

In seguito fu imprigionato e pubblicamente umiliato dalle Guardie Rosse maoiste. Restò agli arresti domiciliari fino al 1977; due anni dopo decise di abbandonare i suoi voti monacali e sposò una donna cinese dalla quale ebbe una figlia, chiamata Yabshi Pan Rinzinwangmo.

Nel breve periodo di potere dei riformisti cinesi Zhao Ziyang e Hu Yaobang glo fiu permesso di tornare in Tibet, dove continuò a criticare la repressione cinese. Mori’ in circostanze sospette – secondo alcuni avvelenato – nel 1989, a 51 anni, dopo aver tenuto un discorso fortemente critico verso Pechino.