Nuova liquidità, un altro (minimo) taglio al valore dello yuan e il sospetto che la Cina abbia ridotto l’ammontare dei titoli di Stato americani, per sostenere la sua moneta in questo momento così difficile.

Azioni che – insieme a una ripresa del Pil americano – sembrano ridare slancio al listino nazionale (Shanghai ieri ha chiuso a +5) e alle borse mondiali. Pechino vive uno dei momenti più delicati degli ultimi anni, presa da difficoltà economiche, disastri evitabili, come quello di Tianjin e una tensione probabile tra la sua classe dirigente.

Per quanto riguarda le esplosioni che hanno provocato almeno 139 morti nella città portuale di Tianjin, le novità sono giudiziarie. La polizia cinese ieri ha arrestato 12 persone; tra gli arrestati anche il presidente della Tianjin International Ruihai Logistics, Yu Xuewei, il vice presidente Dong Shexuan e tre vicedirettori generali. Insieme a loro sarebbero arrestati anche diversi manager dell’azienda. La polizia ha affermato che le persone arrestate sono sospettate di stoccaggio illegale di materiali pericolosi.

Indagata anche la Tianjin Zhongbin Haisheng, una società accusata di aver aiutato illegalmente Ruihai ad acquisire documenti pertinenti valutazioni sulla sicurezza. Le quantità di materiali chimici contenuti nel magazzino esploso il 12 agosto scorso erano superiori e non di poco, a quelle consentite dalla legge. Abitazioni civili erano a meno di 500 metri, mentre la distanza minima prevista è di un chilometro. La velocità con cui saranno colpiti i «responsabili» è probabile garantisca un minimo di argine alle proteste e lamentale dei familiari delle vittime e delle tante persone che in questo momento si ritrovano evacuate e senza casa.

Sul fronte economico, ieri la borsa cinese di Shanghai è apparsa in ripresa, così come quelle mondiali. Tutti hanno goduto dei provvedimenti decisi dal governo di Pechino, compresa una nuova, mini svalutazione del Rmb (0,07) e una iniezione di liquidità di oltre 20 miliardi. Secondo quanto pubblicato dall’agenzia economica Bloomberg, nel corso del mese di agosto la Cina avrebbe anche ridotto il suo portafoglio di titoli di Stato americani per procurarsi i dollari necessari a sostenere lo yuan. La banca centrale, raccontano alcune fonti a Bloomberg, avrebbe scaricato dollari e acquistato yuan con l’obiettivo di stabilizzare il cambio con la sua valuta, dopo la decisione di svalutare il renminbi lo scorso 11 agosto (la Cina dovrebbe possedere circa 1.480 miliardi di dollari di titoli di Stato Usa.

Analogo processo che era stato effettuato a suo tempo dalle «tigri asiatiche» (Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud e Singapore). A questo proposito è bene osservare come il processo che aveva portato ad un aumento dell’export delle «tigri», sostenuto dagli Usa, sia molto simile a quanto accaduto per la Cina.

Con una differenza fondamentale, che forse spiega anche le difficoltà odierne di Pechino: mentre aumentava l’export (e il rifugio sicuro nei titoli Usa) diminuivano i salari e il potere d’acquisto dei cittadini cinesi.

Un andazzo che gli aumenti salariali di questi ultimi anni, hanno solo leggermente intaccato. A questo proposito già nel 2009 Ho-Fung Hung, professore alla Johns Hopkins Sociology, sulla New Left Review metteva in guardia dai rischi del sistema economico cinese così concentrato sulle esportazioni e con un mercato interno completamente stagnante.

È esattamente il problema che Pechino riscontra oggi. Ho-Fung Hung per altro metteva in evidenza un’altra questione non da poco, ovvero l’attenzione della dirigenza allo sviluppo urbano a discapito delle aree rurali. «Negli ultimi due decenni, ha scritto, il reddito pro capite rurale non ha mai superato il 40 per cento del livello urbano».

Questo «pregiudizio urbano» è emerso, in parte, «anche a causa del predominio di una potente élite urbano-industriale dalle regioni costiere meridionali». Non a caso, ricorda il professore, Hu Jintao, allora capo di Stato e Xi Jinping, l’attuale leader, hanno avuto incarichi governativi nelle regioni sud orientali del Fujian e dello Zhejiang.