Il calcio come veicolo per consolidare l’identità operaia. In alcune realtà locali, in Italia, in Francia e in altri paesi europei, spesso i valori della classe operaia sono stati amplificati attraverso le squadre di calcio. Marion Fontaine docente di Storia Contemporanea all’Università di Avignone in Francia, ha scritto Le Racing Club de Lens et les «Gueules Noires» (euro 23), trattando il caso della squadra di calcio del Lens, conosciuta in Francia come la squadra dei minatori, assurta ai vertici del calcio francese nel 1998, oggi nella Ligue 2. A Marion Fointaine abbiamo rivolto alcune domande sul tema.

Qual è il rapporto tra il calcio, identità sociale e politica operaia?
Il rapporto tra il calcio e l’identità operaia non è qualcosa che va dato per scontato, perché in Francia, come in Italia, quando il calcio nasce è una pratica delle classi medie cittadine, solo progressivamente si assiste alla sua democratizzazione e «operaizzazione». È necessario capire come e perché questo processo si verifica e quali sono le sue conseguenze sul piano politico.

Quali sono?
In Francia, soprattutto nel periodo tra le due guerre mondiali, il fenomeno di democratizzazione del calcio con il coinvolgimento degli operai, subisce un’accelerazione a scapito di altri passatempi più tradizionali come la colombofilia, diffuso tra le classi sociali meno abienti. Negli anni ‘20 e ‘30 aumentano gli stadi e il numero delle squadre nei quartieri operai, bisogna chiedersi se questo processo sia stato un movimento spontaneo da parte della classe operaia o se incoraggiato dalle istituzioni che avevano interesse a favorire la diffusione e la passione verso il calcio.

A quali organizzazioni si riferisce?
Alle organizzazioni degli imprenditori. In Italia abbiamo l’esempio della famiglia Agnelli, proprietaria della Fiat e della Juventus, prima ad incoraggiare il calcio a Torino. Lens è all’estremo nord della Francia e si trova al centro del principale bacino di produzione del carbone in Francia. I proprietari delle miniere hanno incoraggiano non solo la pratica del calcio, ma anche il calcio come spettacolo, a Lens hanno costruito lo stadio Bollaert, la compagnia delle miniere ha controllato per anni la principale squadra di calcio di Lens, facendone uno strumento di pubblicità per la propria impresa. In Francia un altro esempio è quello della Peugeot che controlla la squadra del Sochaux.

Ma se i soldi li mettono  i padroni?
È un paradosso che lo sport operaio sia incoraggiato dagli imprenditori che lo usano sia come strumento pubblicitario che come fattore di pace sociale. Certo non è mai successo che lo svolgimento di una partita di calcio impedisse degli scioperi, ma gli imprenditori sostengono che il calcio favorisce la pace sociale. Bisogna capire qual è stato l’atteggiamento del movimento operaio, dei partiti e dei sindacati rispetto a questo fenomeno. Dagli anni ‘20 in Francia come in Italia il movimento operaio ha sempre avuto come riferimento il partito socialista e il partito comunista. Inizialmente, l’atteggiamento del movimento operaio in Italia, in Francia come in Urss, soprattutto per quanto riguarda il calcio spettacolo è stato ostile, perché viene visto come attività poco educativa, rispetto ad esempio alla ginnastica, e perché si ritiene che il calcio spettacolo sia inserito nell’economia capitalista, incompatibile con la militanza politica.

Gli operai si adeguano?
No, l’atteggiamento intransigente verso il calcio, si rivela poco sostenibile, perché il calcio come altri sport spettacolo conquistano le masse operaie, possiamo fare l’esempio del ciclismo, il Tour de France e il Giro d’Italia hanno un seguito popolare fin dalle prime edizioni.

I partiti della sinistra come reagiscono?
La prima soluzione, adottata in Francia, ma soprattutto in Urss, è quella di proporre un’altra concezione dello sport, perciò negli anni ‘20 si assiste al tentativo da parte del partito comunista francese di proporre un tipo di calcio che possa integrarsi con l’ideologia comunista, ad esempio un calcio senza competizione, un calcio che possa sviluppare i valori del comunismo, quello che viene chiamato «sport rosso» o «sport militante». Il tentativo di concepire uno sport diverso da quello capitalista fallisce, quindi i partiti comunista e socialista sono costretti ad accettare l’esistenza del calcio spettacolo e in generale dello sport spettacolo. Si pone quindi la questione di dare un senso politico alla pratica del calcio e allo spettacolo del calcio. I partiti della sinistra si chiedono come si possa essere tifosi e contribuire all’educazione politica delle masse operaie.
Quali strategie mettono in atto?
Dopo la seconda guerra mondiale, in Francia gli operai del settore minerario sono una corporazione molto forte, il partito comunista diventa il rappresentante politico di riferimento dei minatori e comincia a interessarsi con una certa attenzione alla squadra del Lens. In questo periodo la stampa sportiva di sinistra, contribuisce a creare l’immagine della squadra di Lens, diventa la squadra simbolo dei valori dei minatori, descrive quello che è lo stile ideale di una squadra operaia, mette in luce il coraggio, il senso di collettività e di solidarietà, che sono i valori propri della cultura operaia. Il secondo elemento è la valorizzazione della tifoseria. I comunisti di Lens sostengono che sia un bene elogiare la passione dei tifosi, perché può esservi un riflesso anche nell’impegno politico e quindi il partito comunista contribuisce a creare questo modello di tifoseria operaia.

Avviene la fusione tifo-impegno politico?
È interessante notare come la squadra di Lens, nata per volontà del padronato, esprime nel tempo valori operai. In questo modo il calcio è capace di favorire un’identità sociale e politica, naturalmente la costruzione simbolica fatta intorno al calcio a Lens, è stata una particolarità locale, perché a livello nazionale il Pcf ha fatto fatica a riconoscere la legittimità del calcio e dello sport, è rimasto ancorato ad un’idea di cultura più intellettuale.

Negli ultimi decenni cosa è successo?
Il rapporto fra sport, identità sociale e politica subisce una trasformazione negli anni ‘80 e ‘90 nel Regno Unito, in Francia, in Italia, coinvolge il movimento operaio, la classe operaia si disgrega progressivamente. Assistiamo ad una crisi degli elementi simbolici dell’identità operaia, che è ben rappresentata dalla situazione del calcio britannico, che a sua volta era uno degli emblemi principali dell’identità della classe operaia inglese. In quegli anni il calcio evidenzia attraverso le sue rappresentazioni simboliche, una vera e propria crisi dell’identità operaia, tuttavia, continua ad essere un supporto dell’identità collettiva, lo vediamo in Europa, nelle identità locali e nazionali. La squadra di Lens oggi non è più radicata in un tessuto sociale come quello dei minatori, ma attraverso la tifoseria, i canti e gli slogan, manifesta una continuità con quella tradizione, quando gli ultrà del Lens vanno in trasferta indossano sempre il casco dei minatori.

C’è un senso politico nell’appartenenza collettiva?
È un dato di fatto che il calcio produca delle appartenenze collettive, ma quale senso politico gli possiamo dare? È difficile rispondere, in Italia esistono delle tifoserie e delle squadre che rivendicano delle identità politiche, mentre in Francia ci sono poche squadre che hanno questo tipo di identità. Diverso è il discorso sulla politicizzazione dei tifosi, la globalizzazione del calcio è oggetto di numerose critiche, prima fra tutte quella che riguarda la gestione e l’investimento di risorse ingenti, però dobbiamo chiederci se sono possibili delle forme alternative di politicizzazione del calcio che vadano nella direzione della contestazione dei meccanismi del capitalismo, mi riferisco in particolare alle rivendicazioni degli ultras che chiedono di essere coinvolti nella gestione della propria squadra e che la squadra si radichi in misura maggiore all’interno del territorio e delle identità locali.