Alla guida di Barcellona, e probabilmente anche di Madrid, vedremo all’opera Ada Colau e Manuela Carmena, due donne che hanno fatto della battaglia a fianco dei perseguitati, oggi dalla troika ieri dal franchismo, la loro ragione di vita.

Ada Colau è una giovane militante impegnata nei movimenti sociali, fondatrice della Piattaforma a sostegno dei cittadini con la casa ipotecata. Manuela Carmena ha speso gran parte dei suoi 70 anni in difesa degli uomini e delle donne imprigionati dal franchismo fino a diventare una delle più insigni giuriste di Spagna. Le loro biografie ci danno la misura della distanza che le separa e le distingue dalle figure femminili oggi al governo nel nostro paese. Così come tutti abbiamo ancora fresca l’immagine del palco di Atene nella notte della vittoria elettorale di Syriza quando a festeggiare accanto a Tspiras non abbiamo visto il rottamatore italiano ma il pugno alzato di Pablo Iglesias Turron, leader di Podemos.

Eppure, all’indomani del clamoroso ancorché previsto, successo di Podemos e delle varie liste di sinistra nelle elezioni amministrative, i nostri Renzi, Salvini, e perfino Fitto, fanno i caballeros per salire sul carro dei vincitori spagnoli. Nulla li accomuna al variegato arcipelago dei movimenti e dei partiti di opposizione che hanno azzoppato il bipartitismo di Madrid, ma tra qualche giorno si vota in sette regioni e più di 700 comuni italiani. E se un refolo del venticello spagnolo arrivasse sulle nostre sponde per il Pd sarebbe un brutta sventolata«I venti di Polonia, Spagna e Grecia soffiano in direzione opposta ma dicono che l’Europa deve cambiare e l’Italia porterà la voce del cambiamento», è l’esorcismo renziano. Gli fa eco Salvini: «Podemos e Polonia sono una mazzata ai servi di Bruxelles, la gente vuol controllare i confini, le fabbriche, il lavoro».

A parte l’ambiguità di mischiare fenomeni diversi come l’affermazione della destra razzista a Varsavia con la svolta spagnola, peccato che il populismo xenofobo della Lega e le proposte piddine di flotte armate contro gli scafisti abbiamo molti punti di contatto tra loro e niente a che vedere con la richiesta di una “carta dei diritti dei migranti” avanzata da Podemos. Così come in materia di riforme economico sociali il jobs act o lo Sblocca Italia rappresentano la sponda liberista e antiecologista opposta alla piattaforma di Iglesias sulle 35 ore, la rinegoziazione del debito, l’aumento del salario minimo, il favore per la ristrutturazione delle scuole contro nuove linee di alta velocità.

Ma se le grancasse elettorali fanno il loro mestiere, il voto spagnolo parla direttamente ai movimenti e alle forze politiche che oggi si oppongono al regimetto renziano. Dai 5Stelle a Sel, dalle forze sociali che Landini vorrebbe coalizzare, al grande corpaccione della Cgil che Renzi ha mandato all’inferno per fare del Pd la cinghia di trasmissione del marchionnismo. Anche se il fronte italiano è assai più complicato (non abbiamo un Pasok distrutto o un Psoe ridimensionato, non abbiamo un grande movimento che contiene e moltiplica le diverse soggettività sociali) sicuramente la ricetta del “ognuno per sé” (che tiene banco anche in queste elezioni regionali) interpretata dai 5Stelle ma non solo da loro, ci lascia alla retroguardia della sponda sud del Mediterraneo. Dopo essere stati in qualche modo apripista di quel che vediamo oggi a Barcellona e Madrid quando a Genova, a Milano, a Napoli, a Roma vinsero i sindaci arancioni.