I giornali israeliani riferiscono di nuovo di trattative segrete per una tregua di 8-10 anni tra Hamas e Israele che includerebbe l’apertura di una via marittima tra la Striscia di Gaza e Cipro. Magari è vero o forse è la solita storia dell’accordo “fatto” dietro le quinte ma poi privo di seguito concreto. Sono voci che si scontrano con la realtà quotidiana di Gaza che si aggrava giorno dopo giorno. L’Unrwa (Onu) che aveva già annunciato il possibile rinvio dell’apertura delle scuole per i profughi palestinesi (non solo a Gaza) a causa di deficit di 101 milioni di dollari, ha diffuso nei giorni scorsi un rapporto allarmante che è passato senza fare rumore per le redazioni di buona parte dei mezzi d’informazione: il tasso di mortalità infantile a Gaza è tornato a salire.

 

Il numero dei piccoli di Gaza morti prima di un anno di età era sceso nettamente nel corso degli ultimi decenni passando da 127 su 1000 nascite nel 1960 a 20.2/1000 nel 2008. I ricercatori dell’Unrwa invece hanno registrato nell’ultima indagine del 2013 che è tornato a salire al 22.4/1000. Ed in crescita è anche la mortalità neonatale che da 12/1000 del 2008 è passata a 20.3/1000 del 2013. Akihiro Seita, direttore del programma sanitario dell’agenzia dell’Onu, non si sbilancia più di tanto sulle cause di questa pericolosa inversione di tendenza. Spiega che «È difficile conoscere l’esatta causa dell’aumento». Teme che sia parte di un trend più ampio. «Ci stiamo ora occupando dell’impatto del lungo blocco sulle strutture sanitarie, il rifornimento di medicine e le attrezzature a Gaza», ha aggiunto. Un giro di parole che porta alla causa principale: il blocco di Gaza attuato dal 2007 (da quando Hamass ha preso il potere nella Striscia) da Israele e con intensità negli ultimi due anni anche dall’Egitto. Senza dimenticare che dal 2008 Gaza ha subito tre ampie offensive militari israeliane e altre “minori”. Periodi durante i quali non è possibile svolgere l’assistenza sanitaria di routine.

 

Della responsabilità del blocco è convinta la dottoressa Federica Iezzi, cardiochirurgo pediatra, esperta della sanità a Gaza dove, nel quadro dei programmi di intervento della Ong PCRF, ha operato dozzine di bambini palestinesi. «L’impatto a lungo termine dell’assedio a Gaza con la conseguente carenza di materiale sanitario e di farmaci è un aspetto strettamente correlato all’aumento dei tassi di mortalità neonatale e infantile», ci spiega. «Ne sono un esempio gli antibiotici – prosegue – Israele non autotizza l’ingresso di tutti gli antibiotici a Gaza. È perciò largamente usata la ciprofloxacina. Utilizzando a tappeto sempre gli stessi antibiotici, per ogni tipo di infezione, si creano resistenze. Dunque i microrganismi diventano sempre meno sensibili (agli antibiotici) facendo crescere i tassi di mortalità». Gli esempi legati al blocco sono molti, aggiunge Iezzi, come «le complicate procedure di ingresso di vaccini contro rosolia, morbillo, parotite e poliomielite che potrebbero incidere sulle campagne di vaccinazione».

 

Israele sostiene di non incidere in alcun modo sulla sanità a Gaza dove entrerebbe tutto ciò che è necessario all’assistenza medica della popolazione. Le ricerche però sembrano dire l’esatto contrario. Le politiche di occupazione, restrittive e punitive, non possono non avere un impatto sulla vita di milioni di persone. E altrettanto si deve dire anche delle decisioni che prendono le strutture civili collegate all’occupazione militare. I palestinesi in questi giorni, in cui il caldo estivo è più intenso, denunciano che la società idrica israeliana “Mekorot” ha tagliato le forniture nelle aree a nord di Nablus, in Cisgiordania. Non è chiaro quanti palestinesi siano stati colpiti da questo taglio, non commentato dalla Mekorot. In ogni caso nelle colonie israeliane accanto ai villaggi palestinesi l’acqua è abbondante e riempie anche le piscine. Già la scorsa settimana gli abitanti di Kufr Qaddum, Salfit, Qarawat Bani Hassan, Biddya e Sarta avevano denunciato di essere senza acqua. Secondo la Ong “Ewash” gli israeliani, compresi i coloni, hanno accesso a 300 litri di acqua al giorno mentre la media dei palestinesi in Cisgiordania è di circa 70 litri, sotto il minimo di 100 litri raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.