Eugene de Kock, il leader degli squadroni della morte del regime dell’apartheid, meglio noto come «Prime Evil», ha ottenuto la libertà condizionale dopo 20 anni di carcere. A dichiararlo è stato venerdì il ministro della giustizia sudafricano Michael Masutha.

La decisione, più volte rimandata, sarebbe maturata «nell’interesse del consolidamento e della riappacificazione nazionali» e in considerazione della sua buona condotta per aver espresso rimorso e aiutato la National Prosecuting Authority a ritrovare i resti di alcune vittime.
Tenuta segreta la data di rilascio dal C-Max High Security, il carcere di massima di sicurezza di Pretoria.
De Kock, 66 anni, era a capo di una unità speciale contro-insurrezionale denominata Vlakplaas, dal nome del suo quartier generale presso una tenuta agricola a 20 chilometri a ovest di Pretoria, attiva negli anni 80 e nei primissimi anni 90.

Arrestato nel 1994 (l’anno in cui, dopo decenni di dominio della minoranza bianca, l’African National Congress (Anc) vinse le prime elezioni libere in Sudafrica e Nelson Mandela fu eletto presidente), fu riconosciuto colpevole di 89 capi d’imputazione, tra cui omicidio, tortura e sequestro di persona ai danni degli oppositori del National Party e del regime dell’apartheid, e condannato, due anni dopo, a 212 anni di carcere.

Definendosi egli stesso «assassino di stato» agli ordini delle alte gerarchie politiche e militari, De Kock ha spesso sollevato con le sue dichiarazioni non poche questioni sulle responsabilità dirette dell’allora governo sudafricano.
In un’intervista radiofonica del 2007, De Kock accusò FW de Klerk, l’ultimo presidente bianco sudafricano – insignito del Nobel per la Pace insieme a Mandela – di avere le mani «imbevute di sangue» per il suo ruolo diretto nel commissionare omicidi politici. Accuse negate da De Klerk.

Durante il processo e davanti alla Truth and Reconciliation Commission (istituita nel 1995 nel tentativo di fare luce sui crimini commessi da entrambe le parti, regime e opposizione) De Kock ha confessato più di 100 crimini, fornendo informazioni dettagliate sulle atrocità commesse dalla Vlakplass, sugli omicidi di alcuni membri dell’Anc in paesi come il Lesotho, lo Swaziland, lo Zimbabwe e l’Angola, rendendo noto il nome per ogni caso del capo della polizia suo superiore.

La concessione della libertà condizionale è stata invece negata a Clive Derby-Lewis (malato terminale di cancro al polmone), un politico dell’ultra-destra reo di aver architettato l’assassinio, nel 1993, del leader del Partito Comunista Chris Hani. A differenza di De Kock, Derby Lewis, secondo il ministro Masutha non avrebbe mostrato alcun rimorso. Decisione con cui si è detto d’accordo il South African Communist Party (Sacp): «Deve restare in carcere perché resta un pericolo per i progetti di riconciliazione a cui il nostro Paese aspira disperatamente».
La concessione della libertà condizionale a un pluridecorato capo di polizia ritenuto il killer per eccellenza, responsabile più di chiunque altro di atrocità ed efferatezze commesse al fine di mantenere il governo di dominazione bianca in Sudafrica, è destinata a suscitare non poche perplessità e critiche nella società sudafricana che soffre ancora l’eredità, soprattutto a livello economico, del regime razziale.

Per i sudafricani che si dicono favorevoli al rilascio di De Kock, l’ex ufficiale di polizia sarebbe stato un capro espiatorio a scudo di ignoti responsabili che hanno agito da dietro le quinte nel commissionare torture e omicidi di chi si opponeva al regime razziale.

È il caso di Sandra Mama, vedova di Glenack Mama, ucciso da De Kock nel 1992: «Credo che il suo rilascio sarà d’aiuto al processo di riconciliazione, perché ci sono ancora un sacco di cose che dobbiamo fare come Paese. Ha preso ordini dall’alto e loro l’hanno fatta franca. Vivono, si sa, sono in mezzo a noi oggi e un uomo solo si sta prendendo la colpa».

Per altri, invece, i crimini di De Kock restano troppo gravi per essere perdonati.