Dall’alto del castello di Sao Jorge di Lisbona, forse a causa dell’ebbrezza solare di fine ottobre, è difficile scorgere il confine fra acqua, cielo e terra, come labili sono le frontiere fra passato e presente, nuove visioni e antiche strade, Storia e ricordo che sembrano caratterizzare questa dodicesima edizione di DocLisboa e le sue sezioni. Territori malleabili che si nutrono l’uno dell’altro senza timore di circuitare alla ricerca di una testimonianza che rafforza lo sguardo verso il futuro.

 

 

È il caso di The Sound Before the Fury, distorsione faulkneriana a opera di una coppia di esordienti francesi, Lola Frederich e Martin Sarrazac (nel concorso lungometraggi, prova d’orchestra jazz capitanata dal leggendario Archie Shepp, inclassificabile per talento e poliedricità bluesman americano che nel 1972 pubblicò Attica Blues, pianto soul per i trentanove morti e oltre duecento feriti della rivolta nel penitenziario di massima sicurezza di Attica scoppiata nel 1971. Il sax di Archie Shepp – come quello di Enzo Avitabile che alimenta con il suo ritmo tribale il fuoco pagano dei bimbi de Il segreto di cyop&kaf, il documentario italiano in gara – è la linea, non solo melodica che travalica il tempo, caricandosi di Storia, capace quarant’anni dopo la pubblicazione del disco, di radunare vecchi collaboratori e nuove leve per la riproposizione live del disco in occasione del festival parigino della Villette. Le voci e i volti degli oltre mille rivoltosi di New York, in lotta per il miglioramento delle loro condizioni carcerarie, duettano, grazie alle immagini di repertorio, con le jam sessions preparatorie del concerto, alla ricerca, in parallelo alla macchina da presa, di un magico accordo fra memoria e necessità contemporanea di tramandare un passato sempre vivo e attuale.

 

 

La complessità di un dialogo fra i drammi di un’epoca e un presente da responsabilizzare si fa ancora più radicale nel cortometraggio di Wang Bing Traces, trenta folgoranti minuti in un inedito per il regista cinese formato pellicola, che facevano parte dell’omaggio dedicato all’artista dal parigino Centre Pompidou la scorsa primavera. Girato nel 2005, a qualche chilometro di distanza, e nello stesso periodo dal set del suo film narrativo, La fossa, Traces è un respiro affannoso, un’ombra dai contorni incerti, e il rumore quasi assordante dei passi della fantasmatica presenza/assenza del regista, segna fortemente la ricerca di tutti i possibili frammenti di passato nel campo di lavoro di Jiabiangou dove, alla fine degli anni Cinquanta, morirono migliaia di persone. Nel deserto umano e geografico, Wang Bing scopre ossa umane, ideogrammi di libertà scolpiti sulle pareti nelle grotte del Gobi, unici indizi di un tempo precedente in cerca di una rinascita così prossima alla morte.

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Per ricordare Harun Farocki, scomparso questa estate, oltre alla proiezione di Respite, realizzato da Farocki nel 2007, DocLisboa ha proposto quello che è diventato il suo ultimo lavoro (senza dimenticare il magnifico Phoenix, il nuovo film di Christian Petzold, appena presentato al Festival di Roma, di cui Farocki ha scritto la sceneggiatura, una collaborazione questa tra i due artisti che caratterizza il cinema di Petzold sin dai primi film), ovvero Sauerbruch Hutton Architekten, sull’omonima coppia di architetti di Berlino con sede nel quartiere Moabit.

 

 

Farocki ha girato per ben tre mesi, da luglio a ottobre del 2012, all’interno della loro «officina» interrogandosi sul rapporto tra parola e forma, fra l’utopia dell’architettura e lo spazio fisico che (forse) potrè accoglierla, sulla continua ricerca del compromesso fra funzionalitè e sensualitè di un progetto. Regista e macchina da presa sono testimoni silenziosi e si lasciano sedurre dall’ imperativo stilistico dei due: il colore, come nel caso del GSW Headquarters Building di Berlino, diciotto piani e una miriade di finestre, ognuna con una sfumatura di colore diversa, con cui creare l’effetto di una composizione vivente che cambia e respira in continuazione.
Lontano dalla monografia tradizionale o dalla semplice esposizione di un pensiero di lavoro, Farocki cattura soprattutto le contraddizioni di una «fede architettonica» senza incasellare quel flusso inarrestabile di estro e razionalità che scorre fra arte e industria, e idealmente conclude qui il cammino iniziato nel 2009 con In Comparison, viaggio nella produzione di mattoni in tutto il mondo. Oggetti fondamento della società, organizzatori di relazioni sociali capaci di immagazzinare vita e sapere, per Farocki insomma non si tratta, citando i Pink Floyd, di «Another brick in the wall».