Hanno fatto bene il manifesto e Norma Rangeri ad aprire una sorta di tribuna congressuale in vista della costituzione di una nuova forza della sinistra anticapitalistica. I tempi sono più che maturi per la nascita di una formazione politica che possa rappresentare una alternativa credibile al Partito democratico di Renzi e a quella “sinistra invertebrata” (la definizione è di Perry Anderson) che da troppi anni caratterizza il nostro paese.

La Grecia e la Spagna dimostrano che nella odierna crisi di egemonia (molto di più di una semplice crisi economica) una proposta di cambiamento forte, di profonde «riforme di struttura», può incontrare un ascolto e un consenso di massa. Sta a noi oggi rendere praticabile questa possibilità

Si parla spesso a questo proposito di una Syriza italiana. La suggestione è forte, per certi versi inevitabile, anche se non dobbiamo dimenticare, gramscianamente, che non si tratta di copiare una esperienza nata in un contesto diverso, quanto di «tradurla» nella situazione nostra, peculiare, in cui dobbiamo operare.

Le stesse difficoltà di fronte alle quali si trova oggi Syriza ci dovrebbero indurre a prestare più attenzione alla elaborazione non solo di un programma di governo, ma anche di un “programma fondamentale”, che sappia dire quale è la società che auspichiamo e che, sia pure gradualmente, vogliamo creare. Sarebbe un abbozzo di cultura politica unificante, un passaggio necessario per durare: la nostra prospettiva non deve essere quella delle prossime elezioni, il patto fondativo che vogliamo stipulare deve avere una ambizione e un orizzonte molto più ampi.

Afferma giustamente Rangeri che occorre oggi mettere insieme più soggetti politici, sociali e culturali. Come ho già scritto su questo giornale, ciò comporta due scelte: la «doppia tessera», in modo da non chiedere a nessun soggetto esistente di sciogliersi in modo traumatico (e lo dico da non iscritto ad alcun partito); e il principio «una testa, un voto», per non ripetere le fallimentari esperienze di tipo federativo.

È questa la via per avviare un processo di mescolamento delle culture e dei soggetti che avverrà di fronte alle scelte politiche che ci si troverà ad affrontare. Le divisioni che di volta in volta si produrranno dovranno essere trasparenti, non cristallizzate, rispettose del principio di maggioranza: un «centralismo democratico 2.0», poiché l’esistenza di correnti permanenti ha dato, nella storia che abbiamo alle spalle, pessima prova di sé.

La nuova formazione politica dovrà essere radicalmente contro il sistema dei partiti esistente, scrive giustamente Rangeri. Chiariamo subito che ciò significa nessuna collaborazione col centrosinistra imperniato sul Pd, anche a livello locale. La nuova formazione politica non dovrà essere costruita a partire da un «leaderismo esasperato» (ancora Rangeri), e dunque dovrà avere un gruppo dirigente giovane, articolato per territori, per culture, per generi, che si assuma la responsabilità di avanzare una proposta politica su cui costruire una adesione che non significhi assemblearismo e ridiscussione permanente delle scelte.

La nuova formazione politica dovrà rapportarsi in modo stabile a quelle forze che in tutta Europa lottano da tempo per la stessa alternativa al centrosinistra e al Partito socialista europeo: deve cioè far parte del Partito della sinistra europea e aderire ai suoi gruppi parlamentari di Strasburgo.

Non insisto sulle idee-forza che ci unificano nell’immediato, altri interventi hanno già richiamato importanti elementi che andranno sviluppati, ma che già ora costituiscono un patrimonio comune. Voglio concludere solo con due considerazioni. In primo luogo, sarebbe sbagliato se a questo processo di aggregazione non effimero si sottraessero le compagne e i compagni che hanno di recente dato vita alla «costituente comunista». Liberi di perseguire la loro idea di partito, se la ritengono oggi percorribile, ma lo facciano senza perdere di vista la necessità di rapportarsi in modo stabile alle altre forze che si stanno unificando a sinistra del Pd.

In secondo luogo, si guarda oggi troppo poco alla nostra Costituzione repubblicana, alla Costituzione del 1948. Una Costituzione programmatica, che certo non va «imbalsamata», ma che aveva e ancora ha in sé dei «germi di socialismo» che sta solo a noi e alle nostre lotte saper far crescere e maturare.