La tregua in Siria regge, scrivevano ieri i media internazionali, e oggi la Russia la presenterà sotto forma di risoluzione al Consiglio di Sicurezza per riceverne la benedizione ufficiale. Da mezzanotte le armi avrebbero dovuto zittirsi in tutto il paese, comprese le zone in bilico tra le opposizioni considerate legittime e i gruppi terroristi, Isis e ex al-Nusra. Ma scontri si sono registrati intorno Damasco e nelle province di Hama e Aleppo: elicotteri governativi hanno compiuto raid contro milizie armate, senza vittime.

Non è chiaro chi abbia cominciato, se i miliziani anti-Assad o il governo, né chi siano le fazioni coinvolte. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, schierato contro Damasco dal 2011, l’aviazione governativa ha colpito postazioni di Jabhat Fatah al-Sham, l’ex al-Nusra, accusato di aver sabotato una settimana fa la rete idrica togliendo l’acqua a interi quartieri della capitale e 4 milioni di persone.

Ad un giorno dall’accordo siglato da Russia e Turchia, che ha ricevuto il plauso dall’Onu e segnato la sconfitta diplomatica Usa, il cessate il fuoco resta fumoso. Se giovedì sia i gruppi salafiti che la laica Coalizione Nazionale dichiaravano la propria adesione, ieri Ahrar al-Sham negava di aver accettato l’accordo a causa di «una serie di riserve».

Chi invece è stato escluso sono le forze kurde. Protagoniste della lotta all’Isis, sostenute negli ultimi mesi dai bombardamenti aerei Usa, Ypg e Ypj – braccio del Partito di Unione Democratica, Pyd – sono gli agnelli sacrificali del riavvicinamento turco-russo. Ufficialmente né Ankara né Mosca hanno parlato della loro estromissione, lasciandone la conferma all’Esercito Libero Siriano: il portavoce Abu Zaid ha annunciato la loro assenza dal tavolo negoziale in Kazakistan alla conferenza stampa di Ankara.

Ma a certificarla sono stati i raid russi intorno al-Bab, target dell’operazione turca “Scudo dell’Eufrate”, iniziati giovedì e proseguiti ieri, e i bombardamenti dell’aviazione turca a ovest di Kobane.

Ulteriore conferma è giunta dal co-presidente del Pyd, Saleh Muslim: «Non siamo stati inclusi – ha detto all’agenzia russa Sputnik – Nessuno ci ha chiesto di aderire alla tregua perché i paesi della regione negano l’esistenza di una nazione chiamata Kurdistan».

Un’esclusione grave che fa riemergere l’ipocrisia del processo di pace che dovrebbe aprirsi: se salafiti e islamisti, protetti dall’ala turca, sono accolti a braccia aperte oggi come ieri in Svizzera, i kurdi vengono bollati come “gruppi terroristi” al pari di Stato Islamico e al Qaeda. Da salvaguardare c’è il ruolo della Turchia, grande sconfitta della guerra siriana che tenta oggi di rimediare portando a casa la distruzione del progetto politico kurdo.

Che però non arretra: annunciata tre giorni fa, ieri è stata fondata la Federazione Democratica del Nord della Siria, enclave autonoma che certifica la volontà kurda di presentare per il Medio Oriente una soluzione altra. Scompare il nome Rojava, sostituito da Siria del Nord, a suggellare il modello confederale che i kurdi immaginano per il paese: nessuno Stato indipendente, ma una regione amministrata autonomamente a partire da un contratto sociale tra comunità, femminista, ecologico, democratico, egualitario.