Cessate il fuoco nazionale: questo il cuore dell’accordo che ieri Turchia e Russia avrebbero raggiunto con la collaborazione dell’Iran ad una settimana dall’annuncio in pompa magna dei tre paesi che si dicevano pronti a fare da garanti della futura soluzione politica. Nel momento in cui andiamo in stampa, non è possibile sapere se l’accordo sia già entrato in vigore, obiettivo ambizioso viste le difficoltà di implementazione incontrate ad Aleppo e dovute alla frammentazione del fronte anti-Assad.

Per questo, dopo voci che davano la tregua in vigore da mezzanotte, funzionari del Ministero degli Esteri turco l’hanno spostata («Entro l’anno») e il ministro degli Esteri Cavusoglu parlava di due testi, «uno sulla risoluzione politica e uno sul cessate il fuoco, potrebbero essere implementati in qualsiasi momento». Anche il Cremlino ostentava prudenza: la discussione è in corso, il commento del portavoce Peskov.

Ma prima di veder abbassare le armi è necessario il via libera degli attori considerati legittimi: il governo siriano e le milizie straniere pro-Damasco (Hezbollah, pasdaran iraniani e miliziani sciiti iracheni) e la galassia delle opposizioni. Solo due giorni fa l’Alto Comitato per i Negoziati, principale federazione anti-Assad, diceva di non sapere nulla del presunto dialogo in corso.

A parlare ieri è stato il salafita Ahrar al-Sham: «Le discussioni sono in corso con lo sponsor turco ma il nemico russo tenta di escludere il sobborgo di Ghouta Est – ha detto il capo politico del gruppo, al-Sayal – Le fazioni concordano: escludere delle aree è un tradimento della rivoluzione. È prematuro parlare di opportunità di successo».

Chi invece sarà coinvolto è l’Onu: ieri, ha detto il ministro degli Esteri russo Lavrov, l’inviato delle Nazioni Unite ha promesso supporto nella fase negoziale. De Mistura «ha espresso la volontà di aiutare nell’implementazione [dell’accordo] – ha detto Lavrov – compresa la preparazione della tregua e del dialogo in Kazakistan».

Il Palazzo di Vetro darebbe così la benedizione ad un percorso da cui gli Stati Uniti e la stessa Onu sono fuoriusciti, lasciando tutto in mano alla Russia e al suo nuovo arcipelago di alleanze, che corrono dalla sciita Teheran ai nazionalisti sunniti dell’Akp del presidente Erdogan.

Di certo ci sono due elementi citati da Cavusoglu: fuori dall’accordo restano Isis e Jabhat Fatah al-Sham (ex al-Nusra), ma anche i kurdi di Rojava. Per espressa richiesta turca il Pyd, braccio politico di Ypg e Ypj, è tagliato fuori dalla tregua e dal negoziato che dovrebbe aprirsi ad Astana a gennaio.

Il presidente Erdogan centra così uno degli obiettivi che l’hanno spinto a radicalizzare il conflitto siriano e per cui ha destabilizzato il suo paese. Una piccola vittoria a fronte della più ampia sconfitta che non viene offuscata dal ruolo di mediatore che oggi si ritaglia. La Turchia si è piegata al volere russo (accettando la partecipazione di Assad alla transizione politica) consapevole del parziale isolamento regionale in cui si è cacciata: Ankara non è diventata leader del mondo arabo e si è inimicata Iraq, Egitto, Siria, Iran.

E in qualche modo anche gli Stati Uniti, suo principale sponsor dentro e fuori la Nato: martedì Erdogan ha accusato Washington di sostenere gruppi terroristici tra cui l’Isis, aggiungendo di avere prove foto e video. Le stesse prove – foto e video – per cui i turchi hanno sbattuto in carcere i vertici del quotidiano Cumhuriyet che hanno svelato il passaggio di armi dai servizi segreti interni ai gruppi islamisti siriani.

Alla radice sta l’ondivago ruolo Usa nel nord della Siria: l’amministrazione Obama oscilla tra le Ypg kurde, utili braccia verso Raqqa e contro l’Isis, e la naturale alleanza con la Turchia che vede in Rojava un pericolo molto maggiore di quello rappresentato dal “califfato”.

Proprio ieri la leadership kurda ha annunciato la presentazione, entro la settimana, del programma politico per il governo federale di Rojava. Non uno Stato indipendente ma un contratto sociale, una costituzione locale che dia il là all’autonomia amministrativa del nord della Siria (con la città di Qamishli come capoluogo) sulla base del progetto confederale democratico nato dopo il 2011.