Quell’«Abbiamo vinto» rimbalza, da una parte all’altra, sui social network. I fondali delle Diomedee sono salvi. Per ora niente trivelle. E’ giubilo e gaudio, perché la società irlandese Petroceltic ha presentato al ministero per lo Sviluppo economico la rinuncia al permesso di ricerca «nel Mare Adriatico meridionale, al largo delle isole Tremiti».

Le ragioni? Di sicuro economiche… «Essendo trascorsi 9 anni dalla presentazione dell’istanza, – spiega la multinazionale – periodo durante il quale si è registrato un significativo cambiamento delle condizioni del mercato mondiale, Petroceltic Italia ha visto venir meno l’interesse minerario al predetto permesso».

Ma la spinta al dietrofront sarebbe arrivata anche «dall’ostilità» della popolazione. E dagli stessi guai finanziari della società di Dublino, spiegati dalla ricercatrice Maria Rita D’Orsogna, che lavora negli Usa: «La Petroceltic, a cui il nostro Governo aveva deciso di affidare i mari attorno alle Tremiti con la concessione BR 274 EL, è sull’orlo del fallimento, assolutamente piegata in due da debiti, azionisti senza scrupoli, accuse di frode e corruzione, crollo dei prezzi del greggio. A Londra – racconta – le loro azioni sono arrivate a pochi pence di valore, da un massimo di 446 nel 2009. La situazione è diventata disperata dopo che, il 23 dicembre 2015, il giorno dopo la firma del decreto con cui l’Italia autorizzava l’airgun alle Tremiti, la Petroceltic si è messa in vendita, sommersa da passivi insanabili. I petrolieri d’Irlanda hanno preso 217 milioni di dollari a prestito dalla banca britannica HSBC – HongKong and Shanghai Banking Corporation – e non sono stati capaci di rispettare i termini imposti. Non sanno ora dove trovare la liquidità per far fronte ai pagamenti. Le azioni – aggiunge l’esperta – sono crollate di oltre il 90% in un solo anno. Gli istituti di credito che si occupano della vendita di Petroceltic sono la Bank of America Merrill Lynch e la Davy Corporate Finance. Stanno vagliando tutte le opzioni».

Insomma una situazione drammatica.

Eppure il Mise, il 22 dicembre scorso, con decreto 176, non aveva esitato a concedere alla Petroceltic Italia srl, i permessi a perforare le Tremiti, alla cifra di 1.929,292 euro l’anno. Circostanza che aveva scatenato il putiferio.

«A rischio – come è stato denunciato a ripetizione – uno dei gioielli ambientali e turistici più importanti d’Europa». Infuriato il governatore della Puglia, Michele Emiliano, che aveva subito «lanciato» un tweet al premier: «Faccio appello a @matteorenzi perché revochi tutte le autorizzazioni per trivellare nostro mare per lealtà costituzionale verso le Regioni». Poi aveva annunciato una strenua resistenza al progetto, da bloccare assolutamente. Ora, a seguito della novità, Emiliano commenta: «Dove non era arrivato il buon senso di alcuni, è arrivata la saggezza della società Petroceltic. Scopriamo tra l’altro oggi che per essa l’operazione non era economicamente conveniente, come avevamo sostenuto in tanti. Andiamo avanti, più forti di prima, verso il referendum».

Petroceltic spiega che, comunque, proseguirà con gli altri titoli minerari di cui è in possesso, di cui uno al largo di Pescara.

E la ministra Federica Guidi, travolta dalle polemiche e che aveva finora difeso il suo operato in proposito? «Si tratta – comunica – di un passo indietro che risponde ad esigenze industriali strategiche della società e di cui il Mise prende atto. Spero adesso che, grazie anche a questa scelta, venga messa, una volta per tutte, la parola fine a strumentalizzazioni sul tema delle attività di ricerca in mare».

«Petroceltic – interviene il coordinamento nazionale No Triv – avrebbe rifiutato il gentile “cadeaux” offerto dal Governo. La dichiarazione è contenuta nel documento di presentazione del Piano Industriale 2016 della compagnia irlandese. Tra i fattori che hanno determinato la decisione hanno pesato, oltre al difficile momento, anche l’ampia impopolarità del progetto e una probabile sconfitta nel procedimento aperto dinanzi al Tar Lazio».